Solo per la bellezza

Sociedad · Fausto Bertinotti
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21 marzo 2024
Con don Julián Carrón è proprio crollata l’idea del nemico. Lui ha cercato il lontano con cui dialogare.

Grazie per questo invito e per questa accoglienza. Sono molto appassionato alla materia e poco competente; peraltro, in questa sede vedo delle presenze che ancora mi intimoriscono – dico per tutti il padre Rocchetta – quindi parlo in punta di lingua e chiedendovi scusa in anticipo.

Provo a dirvi quello che io ho creduto di capire fino alle dimissioni di Don Julián perché alle dimissioni di Don Julián Io ho avuto un’interruzione nella mia presunzione di comprensione, ho rimesso le armi, ho detto “Vabbè, adesso non capisco più”, e francamente anche il comportamento di un amico – l’hai scritto nel libro – nei confronti di Don Julián, con il silenzio successivo, ha reso questa vicenda – che è una vicenda importante – ancora più difficile da interpretare.

Un uomo che di Comunione e Liberazione si intende molto mi ha dato la chiave, ancora problematica ma più prossima alla possibilità di intraprendere un cammino per la conoscenza, e come lui ha detto “ci vorrà molto tempo”: parlo di Vittadini, che interviene anche nella conversazione del libro con grande lucidità. Come sapete bene è un perno di Comunione e Liberazione perché ne ha attraversato tutte le fasi, non ha mai rinnegato nessuna di queste e ha vissuto questa esperienza di fede e di comunità con impegno di direzione, e come si vede nel libro vive totalmente l’esperienza di Don Julián, senza riserve. La cosa secondo me è molto rilevante, perché stiamo parlando di una differenza – starei per dire antropologica – tra il teologo di Extremadura e il Lombardissimo Vittadini.

Ascione con questo libro aiuta molto: io l’ho trovato un libro davvero molto rilevante, come è stato detto all’inizio: costruito con grande rigore, si sente la passione senza essere una partigianeria. Indaga fatti concreti e secondo me il compito era assai difficile perché si poteva slittare anche involontariamente su uno dei due lati della linea di fuga: l’una quella di una prevalenza di lettura teologica della vicenda, quindi tutta iscritta in una storia della Chiesa in cui si capisce sempre tutto di ciò che accade nella chiesa perché è il tempo dato, oppure quella cronachistica dei conflitti interni… una lettura come se fosse un partito, un partito degradato come sono quelli di oggi naturalmente, perché non sempre è stato così.

Ascone sceglie e pratica una via che davvero aiuta ad andare avanti nella ricerca: ci aiuta a mettere dei mattoni nella costruzione sapendo che è ancora una costruzione da fare. Allora io come posso parlarne, avendo confessato in partenza questa mia incomprensione della fase? Posso parlarne per come io ho creduto di capire l’innovazione che Carrón ha immesso molto generosamente sul corpo forte e significativo di Comunione e Liberazione. Non dirò che è stato l’esperienza di un “profeta disarmato” – usando una formula presa da altri cantoni – ma certo gli assomiglia. Si possono fare anche delle osservazioni minimaliste: pensate a quanto è diverso dai protagonisti pubblici che occupano la scena del paese oggi, di tutti i tipi. La differenza è abissale: non ha giocato a nascondersi affatto, è stato presente, ma con nessuno dei mezzi che vanno per la maggiore nella società delle comunicazioni di massa. Non sono moltissimi fuori da Comunione e Liberazione quelli che conoscono la sua fisicità: persino nel Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, dove stava di casa, sembrava sempre volersi defilare persino fisicamente… mai attraversava un corridoio dove avrebbe suscitato, e suscitava difatti, grandi applausi, ma invece andava silenziosamente verso la postazione in cui doveva portare un contributo. Eppure, è uomo di grande popolarità: vorrei ricordare che quando fu nominato, chiamato per nome in piazza San Pietro il 15 ottobre, fu un’ovazione; un’ovazione che sorprese tutti, appunto per questo carattere così diciamo così reticente nel manifestarsi pubblicamente, e per la popolarità che è proprio esplosa semplicemente sul suo nome.

Lo confesso anch’io che vengo da una storia di contesa con Comunione e Liberazione a partire da GS: tutti abbiamo sentito tutti il fascino di Don Giussani ma anche la durezza della controversia. Intendiamoci: se noi e lui avessimo scoperto prima forse quel dialogo con Pasolini ce la saremmo cavata meglio tutti, però è un fatto che veniamo da storie diverse.

Tra le tante critiche che possiamo dismettere io vorrei che fosse riconosciuto che la critica a Comunione e Liberazione di una vocazione integralista è difficilmente contestabile. Ora, Don Julián è stato l’antidoto. Ricordo delle frasi significative dette ad altre persone a lui vicine di CL in cui chiede in una cena: “Ma chi sono i vostri amici?” e quando gli altri rispondono che sono tutti di Comunione e Liberazione… “beh, vedete per un po’ di cambiare il registro! Non potete rinserrarvi dentro queste fila!”. Per dirvi come l’apertura non era semplicemente una questione culturale ma proprio una questione di vita, una idea di rapporto tra la fede, la vita, la comunità… Insomma, un antidoto.

Vorrei provare a dirvi le stesse cose usando delle parole chiave, invece che provare a ricostruire – che poi sarebbe troppo arbitrario – quello che secondo me è stata la sua testimonianza, il suo percorso di profeta quasi disarmato.

La parola più importante che secondo me lui ha usato e riconvertito è “verità”: non ho bisogno di dire, dato che qui qua molti se intendono più di me di costruzioni religiose, che la verità è il punto cardine della fede; è, diciamo così, iscritta e motore della fede, la verità. Però Julián fa un’operazione importante, perché propone una lettura della verità senza trono e senza spade; si potrebbe dire un ritorno proprio alle origini del Cristianesimo. Senza trono e senza spada nel senso che la verità o si afferma, secondo la sua lettura, per forza propria o non è. Non è che può chiedere soccorso al potere, ma neanche alla legge! Come sapete farà molta impressione la non collocazione di Comunione e Liberazione nella giornata del Family Day, ma è frutto di questa precisa idea: non c’è non c’è nessuna traccia di arroganza o di separazione c’è l’idea semplicemente che la verità si afferma in ragioni proprie, e che se chiedi soccorso, questo soccorso ti contamina, non ti lascia immutato nella tua propensione alla ricerca della verità.

La seconda parola è “libertà”. Io insisto su questo fatto che questo teologo ha impresso nella sua ricerca delle letture originali, dentro un quadro di ricerca vastissima, a ognuna di queste parole. Libertà e ragione nella testimonianza di Carrón sono inscindibili: libertà e ragione. E ritorna la sua grande passione per il fondamento del cristianesimo delle origini perché quella libertà vincente del Cristianesimo delle origini era del tutto priva di potere e addirittura era fatta da perseguitati, che pure avevano intrapreso Il cammino della libertà, della libertà e nella libertà.

La terza parola che a me ha sempre colpito, e questa è proprio sua, non è neanche una ridefinizione, è: “attrazione”. Questa mi ha sempre colpito, questa cosa secondo la quale non esiste il problema di convertire, non esiste tema della propaganda per la conversione. Esiste solo una cosa che va un po’ più in là dell’esempio: la capacità, come unica risorsa del cristiano, di attrarre secondo la bellezza di come lui o lei vive il cristianesimo. Il cristiano è nudo di fronte a questo problema; è l’attrazione su di sé, che è l’attrazione della bellezza della sua esperienza di vita, che muove le coscienze e le vite delle persone. In questo c’è un richiamo a Don Giussani ovviamente: quando Giussani dice: “se se non ha mai creduto ma incontra un Fedele che testimonia la fede con questa grande capacità di attrazione, quello diventa credente”.

Questo punto, secondo me, spiega molto del suo rapporto con la politica. Se l’attenzione principale del credente diventa quello di favorire il desiderio di una somiglianza, cioè: io mi avvicino alla Fede perché vedo in te, cristiano, e nella tua vita una tale attrazione che alimenta il mio desiderio di compiere questa scelta, allora il rapporto con la politica prende una curvatura del tutto diversa. Non è quella del potere e neanche quella della rappresentanza… anche in questo non facciamolo troppo ingenuo, perché lui dice: “Chi vuole andare alla politica vada, purché non vada sotto l’usbergo della comunità”, che è il grande peccato della fase precedente da cui lui si libera con un atto coraggiosissimo come quello della lettera su Formigoni che non è nominato, ma insomma, di quello parlava. Scusate però, non stiamo parlando di una piccola cosa: stiamo parlando di una relazione tra la fede, la politica e il potere. Qualcuno obietta che allora questa cosa è un ripiegamento nella religione. No! è una ascesa nella fede, cioè nella possibilità, attraverso l’esperienza di fede e di comunità, di farsi anche politica… ma non la politica degli altri: la tua politica, che è in primo luogo la vita della comunità.

Del resto Don Carrón incontra una condizione che conosciamo tutti: non stiamo parlando di un rapporto astorico tra fede e politica. Stiamo parlando di rapporto tra fede e politica nel periodo della crisi dell’una e dell’altra, di una crisi che può diventare distruttiva e di una crisi nel corso della quale la cosa che si può salvare, anche oggi, secondo me, è proprio ciò che resta di questa ricerca di fede nella crisi. Il rapporto con la politica non è un rapporto da cui tu adesso trai una qualche vantaggio nella tua ricerca; in primo luogo, perché è in larga misura screditata e lontana dalla vita delle popolazioni, in secondo luogo perché tu stesso vivi il tempo della crisi. Non c’è bisogno di ripetere la famosa frase di Thomas Elliot di fronte alle chiese che si desertificato… “è il popolo che ha abbandonato la chiesa o è la chiesa che ha abbandonato il popolo?”. Pensate quanto si può moltiplicare questa domanda nei confronti della politica in cui la risposta è univoca: è la politica che ha abbandonato il popolo.

Quindi, la sua ricerca muove in questo campo: guardate come sempre rifiuta la scelta di campo. Non è troppo facile oggi pensare a un futuro di una componente del mondo cattolico chiedendogli “Ma tu stai con Ratzinger o con Francesco?”. Quanto è grande questa tentazione? E lui non la risolve acrobaticamente, per niente. Guardate quanto è forte il suo richiamo al Ratzinger famoso, quello dell’insegnamento proprio precisamente su cosa deve essere chiamata in causa per ritrovare il bandolo della fede nella Chiesa e con la Chiesa, e quanto nell’insegnamento di Ratzinger rimane forte l’idea della drammaticità di questa ricerca! E senza fare nessuna contrapposizione incontra Francesco che dice “viviamo non la crisi di un tempo ma la crisi di un’epoca, non siamo più nella cristianità”. Ora, questa fase è una frase gigantesca, enorme! Questa frase è di Ratzinger e di Francesco, ed è di Don Julián, fortissimamente di Don Julián.

Allora la sua ricerca si capire se ti muovi da qua: in questa anticipazione drammatica della crisi è una ricerca che muove precisamente dentro un cambio di epoca, che fa sì che noi siamo fuoriusciti dal tempo della cristianità.

lo mi fermerei qui perché l’idea di questa ricerca a me sembra così gigantesca, così enorme, che appunto mi viene soltanto di dire chapeau, ho un rispetto grandissimo per chi ha intrapreso nudo questo cammino; ed è per questo che non capisco l’esito finale, perché quel problema secondo me è acutamente aperto, apertissimo.

E io francamente, anche prescindendo dall’amicizia, non vedo personalità più idonee di Don Julian di affrontare questa sfida. Lo stesso silenzio in cui non è condannato, ma si è messo, è indicativo della personalità di cui stiamo parlando.

Provate a dirmi voi un leader politico di spessore che allontanatosi sia stato zitto per qualche giorno.

Chiudo sul carisma: francamente non sono d’accordo per niente con chi sostiene che in qualche modo Don Julián abbia voluto attribuirsi il seguito del carisma del fondatore. Non è vero per niente e condivido con lei che il carisma del fondatore non è suscettibile di essere delegato.

Ciò che vorrei proporvi è che Don Julián proponeva un proprio carisma e con questo proprio carisma ha guidato Comunione e Liberazione, e per questo io credo la sua fuoriuscita sia una perdita per i credenti e per i non credenti.

Per i non credenti, per la ragione che se c’è un uomo che ha cercato il lontano con cui dialogare questo è Don Julián Carrón e a questa ricerca non ti potevi sottrarre: è proprio crollata l’idea del nemico e della possibilità che anche col più lontano da te può aprirsi un dialogo, e questo secondo me è un insegnamento che nessuna vicenda concreta può cancellare.

É vero che Carrón ci ha stupiti tutti però mi sembrerebbe singolare che una riflessione sulla fede e sui credenti la concluda un non credente… mi sembrerebbe francamente un’esagerazione. Mi fermerei, ma semplicemente vorrei ricordare che altro sacerdote – a cui per ragioni generazionali sono particolarmente legato – che è don Milani, ci comunicò che non sempre l’obbedienza è una virtù. Grazie.

Incontro di presentazione del libro La profezia di CL di Marco Ascione


Legge anche: La redenzione dell’uomo inizia sempre dal suo cuore


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