Intervista a Adele Mirabelli

Con Carrón ciascuno di noi era responsabile del carisma

Sociedad · Sefa Levy
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28 junio 2023
Adele Mirabelli è stata responsabile della Fraternità San Giuseppe negli ultimi anni e ha partecipato alle riunioni degli organi di governo della Fraternità di Cl. In questa intervista racconta la sua esperienza.

Afferma che ai tempi di Carrón il compito dei responsabili era quello di indicare quelle persone in cui era vivo il carisma. La questione della successione alla presidenza della Fraternità di Comunione e Liberazione è stata posta come compito comunitario.

Per un lungo periodo sei stata responsabile della Fraternità San Giuseppe (FSG) partecipando alla Diaconia Centrale: qual è stata la tua esperienza? Che esperienza di libertà hai fatto vivendo il carisma di Cl in questi anni? 

Oggi mi sento di poter dire che associo la parola responsabilità alla parola libertà, proprio in forza dell’esperienza che ho vissuto. Pur avendo sentito tante volte, nel Movimento e dal Gius e nella mia strada vocazionale, che la responsabilità è innanzitutto rispondere ad Uno, mi ritrovavo addosso una preoccupazione inadeguata, soprattutto i primi tempi della mia partecipazione alla Diaconia Centrale, che non mi rendeva libera rispetto al compito affidatomi. Ma io ho visto, sentito… toccato con mano chi la responsabilità la viveva in prima persona come rapporto personale con il Mistero. Per osmosi questa posizione, nel tempo, che non solo vedevo ma che era continuamente rilanciata, è stata per me liberante e ha “convertito” il mio sguardo nei confronti di me stessa e delle persone del movimento e nello specifico quelle della FSG: lo sguardo di chi in punta di piedi cerca e domanda di intravedere nelle vicende e nelle storie di uomini e donne l’opera di un Altro. L’altro incontrato, anche nei miei viaggi all’estero per visitare gli amici della FSG con culture e storie personali incredibili, è stato per me fonte di correzione: il guadagno umano ricevuto da costoro e dai luoghi, in primis la Scuola di comunità, che mi richiamavano e testimoniavano questa posizione di attenzione al reale, è impagabile.

Perché si è tanto insistito negli ultimi 15 anni di Cl sulla necessità di dare un giudizio, di dare un giudizio basato sull’esperienza?

Per me è stato folgorante un momento in cui in occasione di una Assemblea Internazionale Responsabili di Comunione e Liberazione, Carron aveva sviluppato il tema dell’esperienza e del giudizio. Eravamo a La Thuile e Carron ha raccontato questo esempio che calzava con la geografia del luogo. Per raggiungere La Thuile occorre percorrere in macchina una strada piena di tornanti, ma a un certo punto, a una curva svetta il Monte Bianco ed è impossibile che lo sguardo, anche di chi è concentrato alla guida, non si posi sulla quella cima e non emerga immediatamente e naturalmente l’espressione: “Che bello!”.

Ecco questo esempio mi ha accompagnato, tanto che ancora oggi lo ricordo, perché per me è stato l’inizio del superamento del dualismo che mi sono ritrovata nella mia esistenza; cioè rincorrere le cose, fare tanto, partecipare… ma mai verificare se ciò che vivo risponde al mio cuore. Questo per me ha voluto dire prendere consapevolezza e autocoscienza di chi sono e di come non basta essere dentro un flusso, anche scelto, a cui si è aderito, entusiasmante, interessante… senza aver detto Io. Cioè senza aver fatto quel lavoro di autocoscienza su di sé. Il mio stare dentro la strada del movimento con questa scoperta del “Monte Bianco” ha fatto sì che stimassi di più i miei desideri, che non avessi timore di riconoscere ciò che mi corrispondeva rispetto a ciò che non rispondeva al mio bisogno: e questo è un altro guadagno di libertà.

Perché è stato indicato che i fatti senza giudizio non educano? 

Io faccio l’insegnante e ho a che fare con adolescenti e a volte mi rispecchio in loro; è evidente che ciò che ritrovo non sono le loro modalità espressive, ma quella posizione ultima della persona, cioè vivere senza essere coscienti dell’accadere della realtà. Ai genitori spesso dico proprio questo: che il lavoro educativo è innanzitutto il sostenere il cammino di autocoscienza. Ho scoperto nella mia vita la vocazione a trent’anni: ero entusiasta, innamorata di Lui… oggi dopo 35 anni (come è vero quello che ci diceva il Giuss, che si sarebbe capito solo a… 50, poi 60, poi 70… aumentava le decadi in base agli anni che si succedevano!), grazie soprattutto alla riscoperta del carisma del Giuss in questi quindici anni in cui sono stata provocata a non dare nulla per scontato, ho maturato un cammino di consapevolezza che mi fa scoprire continuamente me a me stessa.

E i giudizi senza fatti possono essere ideologici? Qual è stata la tua esperienza in questa materia?

Le parole nel movimento hanno una portata di significato che rispettano la loro etimologia e quindi il loro vero senso: a questo ci ha abituati il don Giuss. L’esperienza è esperienza solo quando ciò che io vivo è giudicato, cioè è paragonato col cuore, con i miei desideri più veri. E se sono leale e non “furbescamente” cambio metodo, mi accorgo che giudicare è liberante. Nel mio lavoro di docente sono continuamente chiamata a giudicare e quindi faccio anche un certo esercizio nel desiderare di giudicare a partire dalla realtà e non dall’idea che mi sono fatta. Se sono leale con me stessa e con ciò che accade allora il giudizio è una risorsa per sé e non solo. Ricordo i primi interventi di Carron sul cuore: per me è stata la scoperta del mio io. Se si salta questo passaggio di vita si scivola nell’ideologia. Per questo sono molto contenta che si riprenda il Senso religioso, perché Carron mi ha reso ancora più carnale ed esperienziale il libro che come diceva don Giuss “avremo potuto scrivere solo noi”.

Come può tornare credibile – interessante – la fede, oggi?” Non tutte le forme di testimonianza sono utili

Quando ho iniziato il mio cammino vocazionale avevo in mente la forma dei Memores Domini, ma Dio attraverso il Giuss mi ha chiamata a un’altra forma. I primi anni sono stati faticosi perché avevo in mente una cosa diversa… ho dovuto fare un lavoro personale; ringrazio la storia che Dio mi ha offerto perché oggi sono libera dal porre la mia speranza e il mio scopo sulla forma. Scambiare la strada con la meta è un rischio sempre in agguato. Le forme possono cambiare per rispondere al compito e al senso della vita: la Gloria umana di Cristo. Il passo che per me è stato l’apice del cammino è stato il primo incontro che Carron ha fatto con la FSG nel 2005. La “forma” vocazionale della FSG è da brividi, così la descriveva, perché la si vive nelle circostanze in cui ognuno si trova: la circostanza luogo della vocazione. Questa risponde al bisogno di oggi? Non lo so, ricadrei ancora in una preoccupazione… La domanda che desidero trattenere e che Carron a tutti i livelli ci ha sempre posto è: di cosa ho bisogno? Mi sostiene nel mio cammino?

Il Decreto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita del giugno 2021 stabiliva le modalità di elezione dei vertici dei movimenti e prevedeva un periodo di due anni per la transizione. Prima della pubblicazione del decreto, avevate affrontato la questione della sostituzione della presidenza della Fraternità negli organi di governo del movimento? 

Mi verrebbe da dire che questo tema l’ho sentito porre in modo diverso, a seconda delle circostanze, con diverse sfumature, provocazioni, con invito al lavoro personale, con invito al confronto, più volte e nel tempo in cui sono stata in Diaconia. Certamente negli ultimi anni, ancora prima del decreto, Carron ci ha invitati a indicare e suggerire “una possibile alternativa” per non ricadere nella scontatezza e nel formalismo. Attorno a quel tavolo eravamo tutti responsabili e spesso venivamo sollecitati a indicare chi guardare e chi seguire: questo si diceva è il compito dell’autorità. Quindi la questione della sostituzione era contenuto di dialogo negli incontri della Diaconia e di lavoro personale oltre che comunitario con le proprie più prossime realtà.

Con Carrón era chiaro che l’autorità ultima di Comunione e Liberazione non veniva trasmessa per successione? C’è stata qualche indicazione da parte di Carrón sulla persona che avrebbe dovuto sostituirlo?

Da parte di Carron questo era molto chiaro perché altrimenti si sarebbe camminato sul “tapis roulant” (esempio che faceva spesso per descrivere chi si lascia portare dal “flusso”) e sappiamo che Carron ci ha sempre spronato a prendere le distanze dal già saputo o dato per scontato. Ciascuno di noi era guardato come persona responsabile del carisma e in forza di questo chiamato ad assecondare il Mistero che avrebbe indicato chi si sarebbe riconosciuto come persona data da Dio per guidarci.

Hai visto qualche tentativo di appropriazione e personalizzazione del carisma?

Il rischio grande di appropriarsi del carisma l’ho visto in tutta la mia storia e in me innanzitutto: ho incontrato il Movimento a scuola nel 1972. Il cammino di conversione è di tutta la mia vita. Soprattutto la scoperta della vocazione (per me alla verginità, per altri al matrimonio), della vocazione in quanto tale, cioè dell’essere chiamati ad essere, è stato ciò che mi ha educata a prendere coscienza che è un Altro che fa e che a noi è dato riconoscere. Solo la categoria dell’Avvenimento dà ragione di ciò che io ho vissuto e vivo, ed è solo questo che tutte le volte in cui io ricado nel voler appropriarmi del carisma mi salva: l’Avvenimento hic et nunc.

 

Legge anche: «Dieci anni per ricominciare«

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