Intervista a Ezio Prato

Il cuore è un criterio oggettivo e universale

Entrevistas · Fernando de Haro
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12 septiembre 2023
Il Professor Prato è professore ordinario di Teologia Fondamentale presso la Facoltà Teologica del Nord Italia a Milano. Esperto conoscitore di Hans Urs von Balthasar, tra le sue numerose opere si distinguono i suoi studi dedicati al pensiero di Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione.

La sua ultima contribuzione si trova nel volume Il Cristianesimo come Avvenimento (BUR, 2023). Prato sottolinea che «l’umano non può essere mai «saltato». Né prima, né dopo il vero atto di fede. Tra il senso religioso e la fede c’è una virtuosa dialettica».

Come concepisce Giussani la relazione tra esperienza umana e rivelazione cristiana? C’è una linea di «continuità» fra esperienza umana e rivelazione cristiana o la legge della «discontinuità» prevale?

Diciamo anzitutto che, nella teologia del Novecento, la riflessione sul nesso tra esperienza umana e rivelazione divina è tema di grande rilievo. La tensione tra continuità e discontinuità anima questo nesso. Se si insiste in maniera unilaterale sul primo aspetto, rischia di “sparire” l’originalità cristiana: il cristianesimo si appiattisce sull’umano. Se si cade dall’altra parte del cavallo, e si sottolinea quasi esclusivamente la discontinuità, si perde invece il rapporto tra il cristianesimo e l’umano (che è la preoccupazione da cui si era partiti!). A me sembra che Giussani, mediante le categorie di senso religioso e fede, suggerisca un modo interessante e originale per leggere questa tensione. Certamente, una proposta da approfondire ancora.

Giussani rimanda a un criterio radicato nel soggetto. Perché questo non coincide in alcun modo con l’approvazione di una posizione soggettivistica?

Giussani rimanda al «cuore», all’«esperienza elementare», all’«esperienza originaria», a un complesso di esigenze ed evidenze (di verità, di felicità, di giustizia), che guidano l’uomo nel rapporto con la realtà, che gli forniscono il criterio di giudizio su tutto. Il criterio è radicato nel soggetto, ma ciò non comporta una posizione soggettivistica o relativistica: il «cuore» è un criterio oggettivo e universale, è identico per tutti gli uomini. Certo, come ogni criterio, può essere impiegato bene o male. Un metro è un metro anche se la misurazione che compio con esso può essere sbagliata per molti motivi: imperizia e superficialità, confusione, desiderio di frodare il prossimo, etc.

Il cuore può dunque sbagliare nel valutare la corrispondenza di una presenza alle proprie esigenze più vere?

Partiamo dal positivo… Nell’incontro con Cristo, il cuore può riconoscere la risposta non prevedibile ed eccedente alle proprie domande più vere: una corrispondenza eccezionale, dice Giussani. Per comprendere correttamente questa dinamica, è importante non cedere a un’idea ridotta di corrispondenza. Solo per fare due esempi: non è una corrispondenza parziale che può giudicare della verità di Cristo. Bisogna perciò urgere la corrispondenza umana, con se stessi e nell’impegno educativo, fino al suo livello ultimo, fino al fondo ultimo della nostra umanità. Solo una corrispondenza totale consente di riconoscere la verità unica di una presenza. La corrispondenza, inoltre, non va confusa con una immediata sintonia sentimentale: non è infatti un sentimento, ma un giudizio. Segnalare le figure ridotte di corrispondenza non significa comunque sminuirne il valore. Quale architrave della pedagogia giussaniana, la corrispondenza deve piuttosto di essere custodita e apprezzata nel suo profilo integrale.

Il “metodo” della corrispondenza, correttamente intesa, ci rimanda comunque al soggetto. Tutto si gioca dunque nel soggetto? Anche per l’esperienza cristiana? E la Chiesa che compito ha? In Giussani, l’autorità della Chiesa è intrinseca o estrinseca all’esperienza cristiana? La Chiesa deve generare dall’esterno o semplicemente riconoscere l’esperienza cristiana?

Quando introduco la spiegazione della Chiesa ai miei studenti (e siamo solo al primo anno del curriculum degli studi teologici…), dico, più o meno, così: abbiamo bisogno della Chiesa per l’incontro con Cristo oggi. Senza la Chiesa non potremmo mai essere certi di incontrare Cristo nel suo profilo autentico (nella sua «forma», direbbe Balthasar) e di non rimanere, dunque, prigionieri della nostra immaginazione. La Chiesa è necessaria perché l’incontro con Cristo sia con il Cristo “reale” e non con un Cristo solo “immaginato”. Il riconoscimento pieno di questo incontro (la fede) comporta poi l’adesione personale e la decisione del singolo, e questo non può essere generato solo da un fattore “esterno”, neppure dalla Chiesa stessa. Del resto, è stato così anche duemila anni fa per chi incontrava Gesù sulle strade della Palestina e, di fronte alla sua “oggettiva” e imponente presenza, come testimoniano i vangeli, diceva “sì”, ma anche “no”.

Cosa significa che la Chiesa, come Gesù, si rivolge alla nostra umanità? Che la sfida della Chiesa si rivolge all’esperienza elementare, al cuore? 

Ci sono molti modi per arrivare al cristianesimo. Tanti quanti sono i cristiani. In termini generali, potremmo dire, con un elenco largamente incompleto, che si può arrivare al cristianesimo per il fascino di una testimonianza personale o comunitaria, per educazione o per tradizione, per sintonia culturale, per l’attrazione dei valori cristiani, per la testimonianza delle opere educative, di carità o di altro genere, etc. O, meglio, quelli segnalati (e altri) sono tutti punti significativi di possibile innesco, ma richiedono, da ultimo, oggi, come sempre e più di sempre, la verifica di un’autentica esperienza di corrispondenza riconosciuta e vissuta. Perché si arrivi a una profonda convinzione, è cioè necessario che il cuore sperimenti, da ultimo, una corrispondenza eccezionale a Cristo. La Chiesa, con il suo annuncio, vuole infine sfidare l’uomo a questo livello.

Giussani dice: “la Chiesa non può barare e sottrarsi a una regola critica, che è quella della sovrabbondanza dei frutti, della fioritura, del «centuplo»”. Significa che l’intero percorso della fede si basa sull’esperienza diretta che il credente ha dell’eccezionalità di Cristo? Come è possibile attribuire al credente la possibilità di verificare fino in fondo la veridicità della Chiesa se l’uomo è ferito dal peccato originale? Il peccato originale non distrugge il criterio del cuore?

Credo che la risposta vada cercata nell’insegnamento della tradizione cattolica sul peccato originale: dopo il peccato originale, la natura umana è indebolita, ferita, ma non interamente corrotta. La Chiesa insegna poi anche l’assoluta necessità della grazia: la grazia previene, prepara e suscita la libera risposta dell’uomo, ma non sostituisce l’uomo nell’atto della fede, non rende superflua la sua risposta, il suo riconoscimento.

Giussani dice: “Cristo si pone infatti come risposta a ciò che sono «io» e solo una presa di coscienza attenta e anche tenera e appassionata di me stesso mi può spalancare e disporre a riconoscere, ad ammirare, a ringraziare, a vivere Cristo. Senza questa coscienza anche quello di Gesù Cristo diviene un puro nome”. Quali sono le conseguenze di una fede priva di senso religioso?

È una fede fragile, perché manca di un punto di verifica e consistenza nell’umano.

Il professore Carrón ha sottolineato che Cristo chiarisce, educa e salva il senso religioso. Quale importanza ha?

Sono “formule” che andrebbero riprese una per una, con attenzione. Lo ha già fatto, comunque, don Carrón nella presentazione pubblica (2011) del volume di Giussani sul senso religioso (ora in La bellezza disarmata dello stesso Carrón). Mi pare, sinteticamente, un modo efficace di sottolineare, tra l’altro, come il senso religioso non si possa mai considerare solo una premessa da abbandonare una volta giunti la fede. Rimane, tra senso religioso e fede, una virtuosa dialettica. La fede non si riduce all’umano. Ma l’umano non si può “saltare”. Mai. Né prima né dopo il vero e proprio atto di fede.


Legge anche: L´essere umano e la sua infinita ferita


 

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