Si rivela nell’esperienza

Intervento: Gli ultimi due anni sono stati difficili, mi sono lasciata con il mio ragazzo e questo ha significato soffrire, ma anche riscoprire l’amore di Cristo. Dopo un percorso e mesi molto difficili, l’ultimo periodo è stato di grande gioia, soprattutto a scuola e con i miei studenti. Ho sentito un grande amore per loro e una passione per il loro futuro. Insomma, è stato un periodo di grande felicità. Parlando con le mie amiche che sono nella stessa situazione – non hanno un ragazzo o un marito – mi dicevano che per loro è bello avere tempo per amare i loro studenti. Mi dicevano che sono contente di questa situazione perché così possono dedicarsi al loro lavoro. Sembra una soluzione tranquilla e, da un lato, mi piacerebbe accontentarmi e pensare che sto bene con quello che ho. Ma venendo qui si riaprono le ferite e la misura del desiderio. Vedo che più sono attratta da Cristo, più cresce in me il desiderio di qualcuno che mi ami. Le due cose vanno insieme. Mi piacerebbe che mi aiutassi a capire questo.
Julián: Questa è una domanda che mi fanno spesso, proprio la settimana scorsa me ne hanno fatta una simile. È come se, non avendo ancora una vocazione definita nella vita, ci chiedessimo: cosa faccio nel frattempo? In realtà, quello che stai facendo è la risposta alla situazione che stai vivendo. Perché? Perché non stai semplicemente aspettando che arrivi il fidanzato, ma stai verificando la possibilità che Cristo riempia la tua vita. Se non fai questa esperienza in questi anni, non saprai nemmeno amare il tuo ragazzo quando arriverà o non saprai vivere il modo in cui il Mistero ti chiamerà. Ecco perché hai le due possibilità che hai descritto per iniziare a vedere se ti rispondono, per vedere cosa ti permette di vivere ora: il lavoro e le relazioni che ti sono più familiari, o la verifica di Cristo, con la sua pretesa di rispondere all’esigenza del cuore dell’uomo. E questo indipendentemente da come il futuro si svelerà davanti ai tuoi occhi.
Non perdiamo mai tempo quando prendiamo sul serio la nostra vita. Prendere sul serio la propria vita significa prendere sul serio la domanda «A che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde se stesso?» (Mt 16,26). Questa domanda è sintetica, perché è l’esigenza del vivere. Giussani collega questa frase di Gesù all’irriducibilità della persona. Questa è la nostra persona: siamo fatti per qualcosa e se non troviamo questo qualcosa, anche se il lavoro va bene e l’affetto funziona, non potremo rispondere veramente a questa domanda. Allora, chi ci ha fatto una proposta all’altezza del bisogno di pienezza che tutti abbiamo? La proposta di Gesù è molto semplice: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). È l’unico che ha avuto il coraggio di dirci che abbiamo questa irriducibilità, che è venuto proprio per rispondere ad essa. Per poter amare gratuitamente, lavorare con entusiasmo, non dipendere dalle risposte degli altri o percorriamo questa strada o sarà difficile non rimanere bloccati, sia ora, perché stiamo aspettando lo sposo, sia in futuro perché, non avendo affrontato con tutta la sua densità il grande problema della nostra pienezza, non troveremo soddisfazione nel lavoro che va bene o nella risposta affettiva. Per questo mi sembra che la strada che stai percorrendo sia la più adeguata: approfittare di tutto e aspettare che il Mistero si sveli sempre di più nella tua vita.
Un problema di conoscenza
Intervento: Sono venezuelano e vivo a Madrid da quattro anni. Prima di tutto voglio ringraziarti per essere qui. Qualche mese fa è venuta mia madre dal Venezuela. Lei vive lì, in un contesto che conosciamo, con molte difficoltà. Vive inoltre in una zona dell’interno del Paese, dove le difficoltà sono più evidenti. È responsabile del movimento di Comunione e Liberazione di quella comunità. È venuta a trovarci per stare con sua nipote e con noi. Una sera sono tornato da una giornata normale, dopo aver fatto mille cose al lavoro e, mentre cenavamo io raccontavo la mia giornata, a un certo punto lei mi ha detto: “Vado a letto perché se continuo ad ascoltarti lamentarti, mi sveglierò depressa”. È andata a dormire e io sono rimasto di sasso. Ho sfinito mia madre! Questo è troppo! Mia madre vive in un posto difficile e affronta cose durissime e non si lamenta mai. Appena il giorno prima eravamo usciti con degli amici dopo la scuola e avevo detto loro: “Vi sfido a far lamentare mia madre per qualcosa”. Quella sera, sono rimasto a parlare con Koana (mia moglie) mentre riordinavamo la cucina e, quando sono andato a dormire e sono passato dalla camera di mia madre, non dormiva, ma stava leggendo. L’avevo stremata con le mie lamentele!
Da questo momento ho capito che, a un certo punto, mi sono allontanato: come può essere che prevalga in me la lamentela quando, rispetto alla situazione di quattro anni fa, quando sono arrivato, ho tutto e anche di più? Non solo materialmente, ma siamo stati accolti, abbiamo ricevuto benedizioni e doni, come la nostra bambina piccola o la nuova gravidanza di Koana. Eppure alla fine della giornata mi ritrovo a vomitare un sacco di lamentele e questa è la sintesi della giornata… Mi sentivo triste e ne ho parlato con alcuni amici. Uno di loro, per esempio, mi ha detto: “Che bello che ti dia fastidio lamentarti”. Mi è successa una cosa simile quando abbiamo avuto l’assemblea introduttiva con te due giorni fa. Mia moglie è rimasta fuori con la bambina e, quando sono uscito, mi ha chiesto come fosse andata. Le ho risposto: “Faceva caldo”.
Me ne sono reso conto subito e poi le ho anche detto: “No, è stato incredibile anche per questo e questo”. Mi sento miserabile in questo senso.
Julián: Il tempo della vita può essere sprecato, nonostante tutti i doni che riceviamo, nelle lamentele. Questo è interessante come spunto di riflessione per la tua vita. In questi momenti in cui, con la lucidità con cui l’hai detto, te ne rendi conto, sorge la domanda: “Vuoi perdere la vita vivendo?”, come dice Eliot. La questione è usare ciò che appare come evidente nella nostra esperienza: nessuno si è lamentato di te, tu stesso hai visto crescere la consapevolezza di ciò che manca. Non c’è dono che possa essere più interessante per la persona che vuole intraprendere un percorso di quando compaiono i sintomi della malattia. Una malattia senza sintomi sarebbe terribile: quando ti rendi conto di averla, sei già nella tomba. Qui compaiono sintomi che possiamo sfruttare per chiederci che tipo di percorso stiamo facendo e cosa suscita in me, quale sia urgenza che percepisco affinché non prevalga il lamento, cioè affinché non prevalga il secondario rispetto all’essenziale. Questa è la domanda che ognuno deve porsi.
Intervento: Un esempio veloce, che credo abbia a che fare con questo. Un po’ di tempo fa sono andata in vacanza con alcuni amici e, durante una cena, il mio ragazzo ha commentato che a volte si annoia o si stanca di me. Questo mi è rimasto impresso e, il giorno dopo, mentre tornavamo dal viaggio, ci pensavo ancora. Quando eravamo quasi arrivati, ha tirato fuori il cellulare e ha iniziato a guardare il calcio. Mi sono arrabbiata sempre di più: ero infuriata e lui si è messo a guardare il calcio mentre io guidavo. Allora ho iniziato a fare una lista infinita di tutto ciò che mi fa arrabbiare. Dopo un po’ che ci pensavo, mi sono detta: “Ma… chi non si stanca di me? C’è qualcuno al mondo che non si annoia con me, che mi trova sempre interessante o attraente?” Mi sorprendevo e con queste domande mi veniva in mente questo pensiero: “Mi manco, io sono così”. Come se ci fosse un punto di gioia in questa esperienza. Lo racconto perché non voglio perdermelo: cosa sta succedendo qui? Perché, quando mi ritrovo con queste domande, quando emerge la mia irriducibilità, c’è un punto di gioia nel rendermi conto che io sono questo?
Julián: Tu cosa pensi?
Intervento: Ne ho un sacco di esempi come questo. Ne racconto uno più recente. Dopo aver passato diversi giorni con il mio ragazzo, ci siamo trovati davanti a un tramonto bellissimo e mi è venuta in mente la scena di Giussani con sua madre quando dice: “Com’è bello il mondo e com’è grande Dio!”. All’improvviso l’orizzonte si è allargato e ho percepito, nella scoperta della domanda chi sono io e chi è il mio ragazzo, nel desiderio di essere amata, qualcosa di interessante per me. Non cambierei queste domande.
Julián: Mi colpisce che, quando succedono queste cose, emerge chiaramente qual è il problema del vivere. Perché uno può aspettare che arrivi il fidanzato, ma tu ce l’hai e non hai risolto il problema; o un altro aspetta il lavoro dei suoi sogni, lo trova e si blocca di nuovo. Possiamo usare le parole che vogliamo, ma tutto questo parla dell’irriducibilità di cui abbiamo parlato all’inizio e che è sempre il punto di partenza per Giussani: “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde se stesso?” (Mt 16,26). Non è che bisogna rinunciare al fidanzato, al lavoro, a tutto quello che si deve fare, ma tutte queste cose, senza affrontare la questione fondamentale del vivere, non danno risposta. È fondamentale usare queste cose che capitano a tutti – quando non è il fidanzato che si annoia di me, sono io che annoio me stesso, o le cose che non funzionano – affinché emerga la domanda essenziale: chi sono io? Chi sono io?
Crescere nella consapevolezza di sé, dice Giussani, è fondamentale. Tu non stavi pensando alla tua autocoscienza: vivendo, è emersa con tutta chiarezza la provocazione “ma chi sono io?”. Questo è prezioso per capire che anche se possiamo percepire la parola “autocoscienza” come qualcosa di difficile da afferrare nel suo significato, questo si chiarisce nell’esperienza. L’esperienza che stai raccontando, come quella raccontata da chi è intervenuto prima, documenta questa natura del nostro io. Per questo, senza affrontare questa questione, brancoliamo sempre nel buio. Non perché siamo fragili, bensì perché non affrontiamo la questione decisiva per poter camminare, fare passi, tracciare un percorso per rispondere, con sempre maggiore chiarezza, a questa domanda che emerge in tutti i gesti quotidiani. Quanti di questi momenti potrebbe raccontare ognuno di noi? Uno si annoia con la fidanzata e un altro annoia sua madre… Non è una questione di riflessione filosofica, ma è qualcosa che si incontra. Finiamo per annoiare gli altri, l’altro si annoia di me… Ecco perché dico che nel testo di Giussani sull’autocoscienza[1] si capisce perché ha il coraggio di prendere il toro per le corna. Amici, questo è il problema fondamentale. Se tutto quello che facciamo non ha come obiettivo vedere quale strada possiamo percorrere per rispondere a questo, all’esigenza irriducibile del nostro io, in fondo ci si ripensa costantemente. Ma non perché siamo peccatori, non è questo il problema. Annoiare il tuo ragazzo non è un peccato. Mettiamo le cose in chiaro: se lui non capisce chi è, non potrà capire perché lo annoi. Anche se ti ama tantissimo ed è incantato dalla tua bellezza e dalla tua umanità, sarai sempre una goccia che non è in grado di soddisfare il suo desiderio di infinito. Non è un problema di malvagità, di essere scontrosa o pesante. Questo non ha nulla a che vedere con la questione di fondo.
Qui stiamo parlando di un problema di conoscenza più che di etica: chi è in grado di riempire il mio cuore in qualsiasi situazione mi trovi? Chi è in grado di rispondere a tutte le esigenze che abbiamo dentro di noi? Più ne prendiamo coscienza, vivendo – non con definizioni di autocoscienza –, più siamo consapevoli di questa irriducibilità, più ci rendiamo conto che qualsiasi cosa non può rispondere. In questo momento di apparente smarrimento e confusione generale nella società, ciò che non scompare è questa irriducibilità. È qualcosa che emerge con tutta la sua chiarezza in persone molto diverse, di condizioni umane diverse. Riappare più e più volte, come se in fondo la questione risiedesse nella domanda di Gesù: a che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se perde se stesso? Avere questo davanti a noi ci impedisce di distrarci con altre cose. Non si può risolvere frequentando dei corsi prematrimoniali. Si affronta intraprendendo un percorso che permetta alla persona di entrare in relazione con la propria natura.
Meno male che esisti!
Intervento: Mi sorprende come in te ci sia una familiarità assoluta con Cristo. Hai facilità nel fare esempi, nello sfidare, nel capire qual è il problema della domanda che facciamo perché parti da una conoscenza reale che mi colpisce, mi ferisce e la desidero. A pranzo ti chiedevo come si arriva ad avere questa familiarità con Cristo. Tu mi rispondevi: “devi verificare ogni cosa che ti succede”.
Julián: Non ho altro da dirvi se non quello che vedete accadere nella vostra vita. Se, come si diceva prima, a qualcuno si presenta questa situazione in una relazione importante, come quella che ha con il suo ragazzo, e non la usa per guardare in faccia e vedere cosa risponde, quale strada deve fare per vedere se Cristo è in grado di rispondere a questo… la familiarità con Cristo sarà un’astrazione. Ogni cosa che ci succede può essere l’occasione per rispondere alla domanda: chi sono io? Chi può rispondere a questa mia natura irriducibile? Vi ho detto molte volte che ciò che mi ha salvato è stata la lealtà alla mia umanità. Mi sono successe tutte le cose che raccontate, per questo le capisco. Ma avevo un’ipotesi iniziale, una percezione del Mistero che mi faceva intuire che lì c’era la risposta. L’unica cosa che facevo era cercare di tornare ancora e ancora a Colui in cui potevo trovare la risposta. Per questo non perdevo tempo a dare la colpa agli altri, perché il problema è che la goccia non ha colpa se non riesce a riempire il bicchiere! È inutile insistere nel dare la colpa all’altro perché non è in grado di riempirmi. Non può essere infinito per riempirmi! E questa è la tenerezza con cui si può guardare il proprio fidanzato e dire: “Poverino, non riesco a riempirlo, non riesco ad attrarlo abbastanza”. Ecco perché dico che, se non poniamo una base sufficientemente solida alla relazione, tutto va in pezzi.
Intervento: Ecco la seconda parte della mia domanda. Mi capita che molte cose nella vita vadano peggiorando o si sgretolino o che rimangano sospese. Il declino di certe cose e relazioni mi riempie a poco a poco di scetticismo e mi viene il sospetto che lo slancio iniziale con cui ho affrontato molte cose – il lavoro, le amicizie, il movimento – sia una fase della giovinezza che sta finendo perché non sono più “le prime volte”. Affronto questa domanda che mi sorge e questa ferita, ma ci sono cose che muoiono senza risposta e non posso evitare che si insinui lo scetticismo e quindi mi chiudo, mi chiudo e credo sempre meno alle cose.
Julián: Ti capisco perfettamente. Questo non significa necessariamente che lo scetticismo cresca: ciò che cresce è il tuo realismo. Le cose sono limitate e questo emerge sempre più chiaramente. Ma, allo stesso tempo, il fatto che le cose decadano o non ti appaghino è la conferma di qualcosa che porta al contrario dello scetticismo: che tu sei più di qualsiasi altra cosa! Quando Sant’Agostino dice: “Tu mostri in modo evidente la grandezza della natura umana [mostri quanto siamo grandi] perché, al suo desiderio di pienezza, non basta nulla che sia meno di Te, Cristo”. Se uno non capisce questo… Mi piace ascoltarvi, perché è normale che le cose non abbiano la capacità di trattenervi a lungo. Non possono corrispondere alla tua natura umana, alla grandezza per cui Dio ti ha creato! Qual è il mistero in questo?
Sant’Agostino lo ha chiaro perché ha fatto un percorso umano fino ad arrivare a questa evidenza. Si stupisce che molte delle cose che lo interessavano non lo interessino più e si rende conto che questo è il segno più evidente che solo Cristo risponde a questa grandezza. Non è che il dramma scompaia, ma entra in gioco con tutta la sua potenza: ma io credo che esista la Presenza che è in grado di rispondere al dramma della mia grandezza? Questo sfida infinitamente più di qualsiasi scetticismo perché introduce la domanda decisiva: esiste qualcosa nella realtà che sia in grado di rispondere alla grandezza della mia natura umana, cioè alla mia irriducibilità, alla domanda “a che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se perde se stesso” (Mt 16,26)? Questo che vi sconcerta è ciò che mi esalta.
Mi sorprendo spesso a dire: «Meno male che esisti, meno male che esisti. Se Tu non esistessi, non potrei avere una risposta al mio desiderio, alla mia esigenza, alla grandezza della mia persona». E perché esiste? Perché questa esigenza, questa grandezza della mia persona, essendo io limitato, non posso darmela da solo, non posso produrla! So che esiste la risposta perché Lui mi rende ogni giorno così grande, con questa grandezza. Il nostro scetticismo cresce perché gli idoli cadono uno dopo l’altro, ma questo significa che non ci illudiamo! Invece di diventare scettici, dovremmo arrivare al contrario: a non confonderci, a sapere, sempre più chiaramente, che non basta qualsiasi cosa per rispondere a tutta la grandezza per cui Dio mi ha creato. In fondo è come se non credessimo in questa meraviglia che siamo. E pensiamo: «Ma perché mi hai fatto così grande e non un po’ più piccolo, così potrei accontentarmi come i cani di qualcosa di meno?». È un’ultima lamentela a Dio per averci creato con questa grandezza. Desideriamo essere apprezzati, essere amati, ma quando c’è Qualcuno che ci crea con questo desiderio e si fa presente nella nostra vita per rispondere ad esso, ci lamentiamo! Dobbiamo capirlo. Non dipende da nient’altro: dalla società, dal caos, dallo tsunami che può succedere, dalle circostanze che viviamo… tutte queste cose non sono decisive! Tutto può crollare, ma io posso crescere sempre di più nella consapevolezza di chi sono e di Chi risponde. Quando qualcuno, come San Paolo, cresce in questa consapevolezza, «né la morte, né la vita, né gli angeli, né il presente, né il futuro, né alcuna creatura potrà separarmi dall’amore di Cristo».
Intervento: Un paio di mesi fa mi sono trasferita a fare la specialità a Tenerife, dopo tanti anni passati a studiare medicina, con tanta voglia di iniziare a lavorare, di prendere il mio primo stipendio, di vivere nella stessa città del mio ragazzo dopo due anni di relazione a distanza. Inoltre, è una città dove c’è una comunità del movimento fantastica che mi ha accolto con tanto affetto. Tuttavia, ho iniziato a pensare: “E poi?”
Julián: Meno male!! Meno male che in soli due mesi sei riuscita ad arrivare a questa conclusione. Sapete cosa ha detto Matt Damon quando ha vinto l’Oscar a ventisette anni? “Meno male che a ventisette anni mi è successo questo, perché avrei potuto vivere fino a novant’anni perdendo la vita aspettando qualcosa che non mi avrebbe appagato”. È una sfortuna o ti libera la mente per concentrarti, dopo due mesi, su quella che potrebbe davvero essere la risposta alla tua domanda?
Intervento: Mi capita che, essendo lontano da casa, non riesca a sfuggire a quello che mi succede.
Julián: Meno male.
Intervento: Molte volte quando sono a Madrid ci sono cose che mi danno fastidio e posso evitarle. A Tenerife non so dove nascondermi. Trovo qualcosa in me al mattino, al pomeriggio, quando sono di turno di notte, quando sono con gli amici. E mi chiedo: come si fa a vivere così? L’altro giorno dicevi: “hai trovato una Presenza senza la quale non puoi vivere”. E come vivo? Mi vedo in uno stato di attesa… come posso vivere le mie giornate? Mentre preparavo la scuola con alcuni di loro, uno raccontava di aver incontrato un prete che gli aveva chiesto come stava. Il ragazzo, un po’ eludendo la domanda, aveva risposto: “Bene, e tu?”. E lui gli aveva risposto: “Meravigliosamente, perché esisto e quindi sono amato”. Ascoltarlo mi ha ferito molto perché io non avrei risposto così. Desidero questa consapevolezza, e non è che sia contraria a questo mio bisogno di qualcosa di più… desidero crescere nella conoscenza di Lui per poter rispondere, in qualsiasi circostanza, ovunque mi trovi, a Madrid o a Tenerife, vicino o lontano dai miei amici: “sto meravigliosamente perché esisto”.
Julián: Come pensi di poter imparare a rispondere così?
Intervento: Non lo so.
Julián: Questa descrizione che hai fatto del lavoro, degli amici, quando non sei a casa e non puoi scappare, questa nuova situazione può essere l’occasione per crescere nel rapporto con Lui. Questo di solito è l’ultimo pensiero che vi passa per la testa. Quando qualcuno ti dice una cosa come quella che ha detto quel prete, rimani di sasso. Il punto è questo: da un lato ti piacerebbe essere così, ma dall’altro come puoi farlo? Finché non lo scopri, non serve nemmeno che ti anticipino la risposta. Il prete ti ha anticipato la risposta e ti ha attratto e ora cosa faccio? Te lo sta dicendo, ma non l’hai ancora scoperto con sufficiente peso. Non sei ancora abbastanza coinvolta dall’evento di Cristo da poter dire quello che dice lui. Sei confusa: “E ora, vivendo qui, lontano da casa e in queste condizioni, cosa faccio?”. Capite che non si può sostituire l’esperienza dell’evento di Cristo con una spiegazione? E il fatto è che se non usiamo qualsiasi circostanza, qualsiasi sfida, qualsiasi dispiacere, qualsiasi solitudine, qualsiasi inquietudine, per cercarlo, non potremo scoprire Chi è. Per noi rimane come uno sconosciuto, un sogno.
Come un bambino
Intervento: Cosa significa “usare ogni circostanza per cercarlo”?
Julián: Guardate i bambini. Se un bambino è solo, cosa cerca? Un cane, un giocattolo? No, sua madre. In questi giorni di vacanza con tante famiglie lo vediamo continuamente: basta che i bambini si separino dai genitori perché facciano un gran chiasso. Non si confondono. Come siamo cresciuti ognuno di noi nella relazione, nella certezza degli affetti più importanti della nostra vita? Ogni volta che succedeva qualcosa – come succede a te ora che sei adulta – li cercavamo. Questo non cambia quando cresciamo. Non ti facevi bloccare dalla solitudine o dalla paura, non ti fermavi! I bambini non si fermano, ma cercano. Per questo Gesù dice: “Se non diventate come bambini, non potrete entrare nel regno dei Cieli” (Mt. 18:3). Non è complicato, è semplicissimo, come per i bambini. Per noi, essere come bambini in età adulta è un’impresa ardua. Ma, in realtà, non è affatto complicato, non serve alcuna forza di volontà particolare: basta cercarlo, come il bambino cerca sua madre. Come avete fatto a sapere chi è vostra madre? Con una definizione di madre? No! Perché era sempre lì: quando avevate fame, sonno, paura, bisogno. Se Cristo non è la presenza che è lì e che vedo accadere in me quando mi metto in relazione con Lui – come a te toglieva la paura stare con tua madre –, sarà un estraneo. Potrete seguire tutti i corsi di teologia, leggere tutte le scuole di comunità possibili e immaginabili, ma rimarrà un perfetto sconosciuto.
Si rivela solo nell’esperienza. Non hai dovuto seguire nessun corso sulla maternità per capire chi è tua madre. L’hai capito prendendo sul serio la tua paura, la tua solitudine, invece di tenertela dentro. Possiamo stare nella Chiesa per secoli senza che questo dinamismo si metta in moto. Per questo, dopo anni, può sembrare che tutto rimanga uguale: invece di aumentare la familiarità, ci sentiamo sempre più estranei. Nessuno può farlo al posto nostro. Quando avevi paura, non avevi bisogno di nessuno che ti accompagnasse a cercare tua madre. La tua urgenza di uscire dalla paura ti spingeva a cercarla. Questo è ciò che ti ha fatto trovare in tua madre una compagnia che ti aiuta a vivere. All’inizio serve la madre, e questo dice qualcosa sulla struttura del nostro rapporto con l’essere. Questa è la modalità semplicissima che Dio ha pensato per farci capire, fin da piccoli, il tipo di rapporto che può rispondere alla nostra grandezza. Arrivati a un certo punto, la madre non serve più e appare la grandezza del nostro desiderio e del mistero che siamo e o entra la scoperta di Dio, o non troveremo una risposta adeguata.
E allora uno può aver studiato per anni per diventare medico e trovarsi disorientato. Ma se questa fosse l’occasione per fare il salto? E se nel rapporto con i tuoi pazienti, con i tuoi colleghi, nella situazione in cui ti trovi, percepissi la necessità di entrare in relazione con la Presenza che può essere decisiva per vivere? Questo non potrà convincere nessuno se ciascuno non lo fa proprio, cioè se non risulta evidente nell’esperienza. Se uno non pensa che Cristo possa rispondere al dramma della sua solitudine e non lo cerca, non rischia di verificare se la sua promessa si avvera – «venite a me tutti voi che siete stanchi e oppressi e io vi darò sollievo» –, se non verifica, se non dà sollievo, perché lo cercherai il giorno dopo? Continuerà ad essere la frase che ripeti con molta sincerità, ma non ti smuove nulla e, facendone esperienza, non ti convince. L’unico mezzo di comunicazione di Cristo è l’evidenza di un’esperienza. Mi interessa che capiate la logica di come vanno le cose. Altrimenti perdiamo tempo.
Intervento: Ascoltandovi, mi sono resa conto che la cosa più preziosa che ho è la mia domanda. Ho avuto un anno molto particolare e anche molto difficile sotto molti aspetti. Dall’estate scorsa in cui abbiamo avuto un’assemblea con te e ti ho fatto una domanda su una circostanza che stavo vivendo, ho sempre cercato di guardare quel germoglio verde sul tronco secco di cui mi parlavi. È vero che quest’anno ho fatto un percorso. Mi sono successe molte cose. La più bella è che, dopo una relazione orribile e un matrimonio orribile, mi sono innamorata di nuovo. È stato impressionante e non ho potuto fare altro che piegarmi a ciò che avevo davanti. Allo stesso tempo, a casa c’è stata una rottura con i miei genitori e sto passando un brutto periodo con la mia famiglia. D’altra parte, sono insegnante di scuola secondaria statale e, dopo cinque tentativi, quest’anno ho superato il concorso. Sono venuta qui senza crederci ancora, continuo a non crederci e sono immersa in quello che devo fare. Sono venuta con un grande bisogno di verbalizzare tutto questo perché non voglio perdere la vita vivendo. Ascoltandovi mi rendo conto che la cosa più importante è questa domanda: dove mi porterà questa domanda? È vero che sono contenta perché ho un lavoro sicuro e faccio qualcosa che mi appassiona, cioè insegnare, anche se ho alcune incertezze perché non so dove sarò l’anno prossimo. In questi anni ho capito che la mia vocazione è la scuola pubblica. Ma ho qualcosa nel cuore: non è che non mi basti, perché sono contenta; ma allo stesso tempo ho bisogno di essere presente in ciò che mi è successo, così come nella relazione che sto vivendo. Voglio continuare a essere me stessa. Non voglio mai disprezzare il segno, voglio valorizzare questi segni, queste cose che mi stanno accadendo.
Julián: Dovrai vedere, sostenendo tutte queste cose belle che ti stanno succedendo, se sono sufficienti – pur essendo preziose – alla tua grandezza. Questo è il punto. Se in questo momento rimani entusiasta di queste cose che funzionano e non ti rendi conto, usando la ragione, che hai un’esigenza assolutamente più grande…
Intervento: Questo mi è evidente.
Julián: Esatto, quindi il punto è che tu, mentre ti godi queste cose, prenda sul serio la tua domanda. Altrimenti, domani ti ritroverai di nuovo come all’inizio.
Intervento: In questi giorni mi ha colpito vedere tutta questa bellezza e ho detto “sono innamorata di ciò che mi è successo nella vita e ho bisogno di questo per vivere”. Prendo appunti di tutto per non perdermi nulla e per poterli riprendere una volta tornata a Oxford, quando sarò sola nella mia stanza. E poi penso: “Ma ti conosci, la tua libertà è molto fragile, sei una pigra e una svogliata… dopo diversi giorni in cui tornerati stremata dal lavoro, non avrai l’energia per aderire”.
In questi giorni mi è tornato in mente quello che dicevamo nella prima assemblea: cosa significa dare spazio al mio ragazzo? Quando mi chiama in videochiamata o mi manca, mi organizzo per avere un po’ di tempo la sera per parlarci. La mia domanda è: cosa significa educare alla libertà? Mi sembra che non ci sia una strada per me, perché mia madre mi dice sempre che sono una pigrona e che non perseguo le cose. Nell’esempio con il mio ragazzo non vedo problemi. Non so se il mio problema sia quindi educare alla libertà o quanto credo che tutta la noia della giornata possa portare a qualcosa e possa così dargli spazio.
Julián: Parli di ciò che hai trovato nella vita. Cosa hai trovato?
Intervento: Un professore di religione che mi ha affascinato.
Julián: E perché ti ha affascinato? Se non vai a fondo di questo – verificandolo in tutte queste nuove circostanze in cui ti trovi quando sei a Oxford – non ti renderai conto che hai trovato una Presenza, non degli appunti. Gli appunti sono un’occasione per entrare in relazione con questa Presenza, non è che gli appunti a Oxford ti risolveranno il problema. Te lo risolve una Presenza che puoi lasciare entrare nella tua vita! Lasciati sorprendere da ciò che accade quando la lasci entrare. Tu sai cosa succede, l’hai visto in molte occasioni. Smetti di preoccuparti delle volte in cui sbagli, non dedicarci nemmeno un minuto. Nessuna difficoltà che hai, nessun errore, nessuna pigrizia – come dice tua madre – può impedirti di risorgere di nuovo davanti all’attrazione che si è risvegliata in te quando Lui è entrato nella tua vita. Senza misurarti. Non perdere tempo con questo. Assecondalo quando il Signore ti attira di nuovo. Perché è seguendo il positivo di ciò che accade che ti verrà voglia di continuare ad assecondare la sua Presenza. Non sarà rimproverandoti quanto sei pigra. Vedi come in un momento dato cambiamo metodo? Non eri pigra all’inizio, proprio come adesso? Ma nessuno ha impedito, con la tua pigrizia, che un professore di religione ti affascinasse. Eri ugualmente pigra. Questo non è il problema! Ci fissiamo su queste cose e ci convinciamo che il problema sia la mia pigrizia. Me lo dice anche mia madre… Ma niente di quello che stai dicendo ti ha impedito di riconoscere la cosa più bella che ti sia mai capitata nella vita. Non hai bisogno di altre condizioni, di una natura diversa da quella che avevi il giorno in cui ti è successo. Tutta la tua natura era già lì, tutto ciò di cui avevi bisogno per riconoscerlo era già lì, altrimenti non l’avresti riconosciuto! Chi te lo impedisce ora, in qualsiasi momento? Se non ci rendiamo conto di come ci è successo, anche se l’abbiamo vissuto, cambiamo metodo. Non ci rendiamo conto che è già successo con tutta la nostra pigrizia, tutti i rimproveri che ci facciamo ora li avevamo già e nulla ha impedito che accadesse. Perché ti blocchi?
Intervento: Perché quando ero a Madrid, ero circondata dalle cose che accadevano intorno a me. Ora non lo so… qualcosa verrà a provocarmi di nuovo, qualcosa mi risveglierà, ma penso che a Oxford sarò sola. So che non è così, ma è come se dovessi passare a un nuovo stato di maturità in cui…
Julián: Tu passi allo stato di maturità sostenendo la sfida, la solitudine, la pigrizia, la situazione che vivi per cercarlo. In cosa consiste la crescita del bambino? Nel fatto che ogni volta sa con maggiore chiarezza cosa deve cercare, dove deve cercare. Non perde un minuto a pensare alla sua pigrizia, non perde un minuto a rimproverarsi qualcosa, non interpone nulla tra il suo bisogno e la ricerca della persona che risponde. Non c’è nulla che possa impedirti, qualunque sia la tua situazione o condizione, di lasciarlo entrare. Tutte queste cose potremmo davvero risparmiarcele. Quello che non posso risparmiarti è che tu sia a Oxford o a Madrid, perché sono circostanze della vita e fanno parte del tuo cammino. Se riflettessimo un attimo su come funzionano le cose, potremmo risparmiarci delle paranoie, perché sono cose senza consistenza e che non hanno nulla a che vedere con l’oggetto di cui stiamo parlando. All’inizio eri pigra come adesso e questo non ti ha limitato. Era semplicemente la semplicità di riconoscerlo.
- Il testo non è stato rivisto dall’autore.
[1] Si riferisce a un intervento di Luigi Giussani durante gli Esercizi spirituali degli universitari di Comunione e Liberazione (Riva del Garda, 5 dicembre 1976) http://archivo.revistahuellas.org/?id=266&id2=323&id_n=12007 : “Il sentimento dell’irriducibilità di sé! Perché non c’è… C’è forse qualcosa di più evidente quando diciamo la parola «io» con un po’ di tenerezza? C’è qualcosa di più evidente che, quando diciamo questo «io», affermiamo, sentiamo di affermare, percepiamo di affermare una realtà che non si può ridurre? Non c’è niente di più che si possa chiamare con quella parola in tutta la storia di ieri, di oggi e di domani, nell’eternità…
Notate che la novità della vita cresce in proporzione alla maturazione di questa consapevolezza di sé, di questo sentimento di sé, di questo sguardo e di questo gusto per sé stessi. Per favore, capiamo che il soggetto, cioè ciò da cui nascono, sgorgano, da cui prendono consistenza, da cui traggono il loro volto tutte le cose, cioè tutte le relazioni, tutte le azioni, tutti i movimenti, è questo io? Io! C’è una legge, una legge che dovete annotare, una legge di questa autocoscienza, della vita di questa autocoscienza, di questo io, di questa persona che sono io!
Legge anche: L’uomo in una società patoplastica
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