Se le persone non crescono, perdono la vita vivendo
Non abbiamo mai visto nulla di simile, dice il titolo del libro. Che cos’è c’è di così unico?
È il modo più semplice per comunicare ad altri che cosa ha significato il cristianesimo per coloro che lo hanno visto nascere. Mi piace questa frase perché descrive la reazione delle persone comuni – non dei farisei o di coloro che appartenevano all’ambiente religioso – di fronte all’evento che accadeva stando con la persona di Gesù. Erano così sorpresi che non potevano fare a meno di dire che non avevano mai visto nulla di simile nella loro vita, per il tipo di umanità, per lo sguardo sulle persone, per la libertà che aveva rispetto a tutti… tutto ciò lo rendeva una presenza totalmente originale.
Nel libro, composto da interviste e conferenze tenute dal 2017 ad oggi, si parla, tra le altre cose, dell’attrazione verso la fede, che non può essere imposta per obbligo, ma si diffonde per contagio. Ci troviamo ora in un contesto sociale particolarmente emotivo, immersi in un dibattito ecclesiale che si interroga se l’eccesso di emotività sia un peccato, dato che relega in disparte la ragione per fomentare una semplice attrazione.
La bellezza, per sua natura, attrae. Il problema è che, se riduciamo il cristianesimo a un’etica o a un discorso, non riesce a coinvolgere. Ma cosa intendiamo per attrazione? Ogni tentativo che viene fatto oggi nella società e nella Chiesa deve essere il benvenuto, perché siamo alla ricerca di modi per comunicare il cristianesimo in modo attraente per le nuove generazioni, che non portano più con sé il bagaglio della tradizione. Tuttavia, ogni tentativo deve essere sottoposto alla verifica di quanto resiste nel tempo, perché potrebbe inizialmente affascinare, ma deve possedere una densità sufficiente per continuare ad attrarre. L’attrazione deve essere verificata nella quotidianità della vita: nel lavoro, nello studio, nella malattia, nei fallimenti, per capire se ciò resiste e se dona una consistenza alla vita che confermi che, davvero, non abbiamo mai visto nulla di simile.
Forse ci siamo concentrati troppo sull’aspetto esperienziale, che è fondamentale ma non sufficiente.
Qual è la relazione tra l’attrattiva iniziale e la formazione? Questa questione viene spesso affrontata in modo dualistico: vivo l’esperienza e poi devo formarmi. Ma spesso questo rimane esterno alla persona… Se non tocchiamo il centro dell’essere, si possono avere momenti di entusiasmo, ma il dualismo persisterà. Se le persone non crescono, perdono la vita vivendo. E questo vivere non genera una persona solida, piena di ragioni, che si distingue per il modo in cui parla delle cose, e non lo fa in modo semplicemente devoto, ma è capace di dialogare con la realtà e affrontare le sfide della vita. Se non è così, la formazione andrà da una parte e l’esperienza emotiva da un’altra.
Non crede che a volte ci perdiamo nei numeri?
Lo abbiamo visto in Gesù: attraeva le folle, ma non si accontentava di questo. E ci dice che non di solo pane vive l’uomo; molte persone hanno il pane per vivere, ma non sono felici. Lui alza la posta e dice che, se non mangiamo la sua Carne e non beviamo il suo Sangue, non avremo la vita in noi. Non dipende solo dal fatto che le cose vadano bene al lavoro, nel matrimonio… Lui vuole persone che abbiano percepito la grandezza di ciò che hanno visto.
In fin dei conti, andiamo da Gesù per rispondere ai nostri bisogni più immediati, ma la vera guarigione è la relazione con Lui. L’incontro con Cristo risveglia tutta l’esigenza della ragione e della libertà, per non accontentarci delle bollicine dello champagne, che sono troppo poco rispetto all’esigenza di felicità a cui dobbiamo rispondere.
Siamo in un momento vertiginoso, ma emerge ora l’irriducibilità della persona. Paradossalmente, maggiore è il successo delle cose agli occhi della gente, più appare chiaro che non è abbastanza. Il problema oggi è che spesso riduciamo tutto a una questione psicologica. Ma questo è sintomo di una patologia o di un’ontologia, cioè della natura dell’uomo, per cui tutto è insufficiente rispetto alla capacità della sua anima, come dice Leopardi?
Se non affrontiamo questa questione, il cristianesimo non potrà farci nulla.
E come lo risolviamo? Lei è un uomo di dialogo, un aspetto che consideriamo molto importante oggi nella Chiesa. Ma non rischiamo forse di limitarci a dialogare soprattutto tra di noi?
L’unica possibilità è l’imprevisto. È l’unica speranza. E questo accade solo se il cristianesimo non si riduce a parole che riempiono pagine, ma diventa l’incontro con un evento, con una persona che, vivendo nella realtà – nel quartiere, in cucina, nella politica – è diversa, al punto che gli altri si interessano a ciò che vive.
Nel suo movimento, Comunione e Liberazione, che ha presieduto fino al 2021, si dà grande importanza al dialogo.
Tutto quello che ho fatto in questi anni è stato parlare con tutti, a ogni livello.
Nel libro ci sono infatti interviste con la rivista Jot Down, con El Mundo; e dialoghi con personalità note come Pedro G. Cuartango o Pilar Rahola.
Bisogna raggiungere queste persone attraverso un dialogo serio. Mi interessa che una persona come Pedro G. Cuartango trovi nella Chiesa un interlocutore capace di instaurare un dialogo con lui. Se questo non accade, abbiamo perso la battaglia. Altrimenti non arrivi a sfidare le persone, non arrivi neppure oltre la loro superficie.
Questo si traduce nella vita delle persone che, tornando al lavoro dopo un fine settimana di incontro, congresso o ritiro, si trovano di fronte un collega che chiede dove siano stati, perché hanno un’espressione diversa. Se questo non accade, il cristianesimo non si comunicherà.
Articolo pubblicato su Alfa y Omega
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