A ciascuno la sua guerra, sguardo da Mosca
Io sono nata molti anni dopo questa terribile guerra, ma per tutta la mia infanzia con i miei compagni di scuola ho dipinto i cartelloni “pace al mondo” e ripetevo, seguendo gli adulti, “Che non ci sia mai più la guerra!”. Nessuno di noi poteva immaginare che un giorno ci saremmo scontrati in una guerra iniziata dalla Russia contro l’Ucraina, che allora erano ancora parte di un unico stato: l’Unione Sovietica. A maggior ragione, allora, nessuno poteva immaginare che per il cartellone “pace al mondo” in Russia si potrebbe finire in prigione. Oggi questa guerra in Ucraina è conosciuta da tutta l’Europa, ma… “ciascuno ha la sua guerra”. Io vorrei raccontare della mia: della guerra che sopportano ora i russi che hanno perso il diritto di parlare dal momento in cui è stata attaccata l’Ucraina. Per noi, però, lo stesso è molto importante essere ascoltati perché solo le parole e il dialogo possono diventare alternativa alle bombe. Allora vorrei condividere con voi il mio racconto e sarei grata se voi lo condivideste con i vostri amici. Scusate le ripetizioni: ho scritto questo per molti mesi e l’ho tradotto passo per passo un po’ per volta.
È già passato più di un anno da quando la realtà si è sbriciolata. Chi ha voluto e potuto scappare dalla Russia è scappato. Qualcuno, però, è restato e ha letto/ascoltato durante questi mesi un’innumerevole quantità di parole accusatorie che ha sentito rivolte in generale a tutti i cittadini russi restanti e in particolare a sé stesso. Ognuno ha percorso la sua strada – attraverso sensi di colpa, disperazione e impotenza – verso ciò che potesse aiutarlo a non perdere l’equilibrio. Pochi sono capaci di conservarlo ora, o meglio, quasi nessuno. Per quanto tempo noi dovremo calcare gli spinosi sentieri verso un radioso futuro, nessuno può saperlo; molto probabilmente non tutti raggiungeranno questo futuro radioso, come abitudine nel nostro paese. Oggi viviamo con la sensazione che ci sia stato rubato il futuro. I tempi sono duri e scuri, e tempi come questi esigono nuove strategie di
sopravvivenza.
Con le mie parole cercherò di descrivere il mio cammino dalla disperazione alla ricerca di una nuova speranza. Se questo interesserà qualcuno sarò contenta, altrimenti resterà come un piccolo documento d’epoca. Come inizio farò un excursus dalla mia storia personale, che assomiglia alla storia di molti.
24 Febbraio 2022. Impossibilità a credere, stupore (come? cosa??), incubo, shock, dolore per gli ucraini, desiderio di aiutarli, lettere aperte di protesta; sentimento di solidarietà; speranza che presto tutto questo si sistemerà, si risolverà, finirà.
Marzo. Sensazione che il mondo stia crollando; ansia; parole accusatorie verso di me nei messaggi privati dai colleghi ucraini…; divisione all’interno delle associazioni professionali e tentativi di escludere gli psicologi russi da alcune di queste; notizie paralizzanti 24/7; emigrazione immediata di amici; sentimento di prostrazione, lacrime. Immensa solitudine. Sensazione di un’enorme lastra di cemento che tutto schiaccia.
Aprile. Angoscia che non passa; paura del futuro. Domanda: “E adesso?”. Tentativi di ricomporre i cocci di sé e della propria vita; desiderio di aiutare ed essere utile in qualche modo; gruppi di sostegno e supervisioni online. Tutti gli psicologi russi, me compresa, si affrettano a frequentare corsi riguardanti il lavoro sui traumi psicologici e PTSD. Preghiera, personale e comune. Incontri online – che mi hanno sostenuto molto – con gli amici italiani della comunità.
Maggio. Tentativi sovrumani di restituire a me stessa la capacità di gioire. Accuse continue da tutte le parti all’indirizzo dei russi in generale; formazione di reazioni difensive. Desiderio di dire a tutti: “Queste accuse generalizzate possono solo peggiorare la situazione”. Decisione: “Io ho diritto di vivere nonostante tutto!”. Estate. “Ricollocamento temporaneo” nel mondo degli alberi, dell’erba e del cielo, per conservare la capacità di respirare, lavorare e pregare.
21 settembre, mobilitazione parziale in Russia: secondo crollo. Notti sulle chat, notizie angoscianti dai confini dove si ammassano fuggiaschi per ore e ore; urgente partenza di quelli non ancora partiti; senso di abbandono; immediato svuotamento di Mosca; discorsi con quelli a cui è toccata la cartolina. All’improvviso vengo a conoscenza di nuovi fatti: risultano essere arruolate anche persone esentate per motivi di salute e che si erano recate all’ufficio di leva per mostrare gli attestati medici.
Novembre. Devastazione, stanchezza persistente. Tentativi di “conservarsi”. Costante di questo periodo: lavoro continuo, problemi di sonno, angoscia di fondo, rosario. In più il sostegno di un caro amico senza l’aiuto del quale, pare, non sopravviverei a tutto questo.
Già da marzo 2022, passato il primo shock, facebook e i media alternativi hanno cominciato a bombardarci con centinaia di post e interventi sulla colpa e la responsabilità collettiva dei russi: poi la retorica è cambiata, la parola “colpa” è scomparsa, però di responsabilità collettiva si è continuato a parlare con energia raddoppiata. All’inizio questo faceva piangere e creava il desiderio di giustificarsi e spiegare a tutti e a ciascuno: “No, non è così… noi no…”. Poi al posto di questo è arrivata la rabbia. Ho deciso di cancellare da facebook quegli amici che in teoria еrano alleati, ma in pratica dimostravano totale mancanza di empatia (almeno, così mi sembrava). Alla fine si è formulata una regola: non permettere agli altri di gettare su di te un peso che non ritieni essere tuo.
Quando anche i miei conoscenti non virtuali, emigrati dalla Russia, hanno continuato a bombardarmi con link e commenti che avrebbero dovuto “aprire i miei occhi su quello che sta succedendo”, si è formulata un’altra regola: se è impossibile spiegare, allora è meglio interrompere temporaneamente la comunicazione. No, nella mia cerchia di conoscenti quasi non c’erano persone che sostenevano la guerra; in compenso ce n’erano in abbondanza di quelli, emigrati, che non capivano assolutamente cosa significasse restare adesso in Russia. Facebook e i media alternativi si sono riempiti di “giusti”, riusciti a partire prima, che hanno cominciato a fare prediche a quelli rimasti, spiegando loro come dovessero protestare e cambiare il regime. Era impossibile far capire a questi “eroi” che in quel momento le proteste non potevano cambiare la situazione, che Piazza Rossa non può diventare il Maidan e che Putin non si può paragonare a Yanukovich. Tipico dialogo di quel periodo.
– Perché voi non fate niente?
– E tu, cosa mi inviti a fare, andare con un cartellone per strada e finire immediatamente in prigione?
– Ma perché tu non sei ancora andata via dalla Russia?
– Forse tu pagherai per il mio appartamento?
– Ma tu non puoi andare in Italia e lavorare da là online?
– Ma tu non capisci che al cambio là io guadagnerei solo tre copeche, e con un visto turistico si può restare in Europa solo 90 giorni?
Quando per i russi sono cominciati i problemi con i visti (cfr. Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia, Polonia…) e con le carte di credito, quando si è smesso di invitarli ad alcune conferenze internazionali e qualche mass-media occidentale ha cominciato a demonizzare tutto ciò che è russo, in me si è formulata un’altra regola: non essere attaccata alle tue illusioni! Accetta il fatto che non è mai esistito alcun meraviglioso e giusto mondo occidentale, questo “mondo occidentale” è altrettanto imperfetto come tutto il mondo in generale; là semplicemente funzionano meglio le strutture democratiche, c’è meno corruzione e più rispetto per la vita delle persone (e tutto questo è sicuramente un bene). Ed è stato difficile spiegare questa scoperta alla bambina che è in me, cioè alla mia subpersonalità infantile che si aggrappava disperatamente ad un sogno morente e piangeva a dirotto. Ovviamente fino a questo momento io non ero vissuta nel mondo delle favole, ma comunque ho provato una grande delusione quando sono venuta a sapere alcuni fatti: per esempio dell’improvvisa cancellazione nei paesi europei di interventi di giornalisti e scrittori russi su richiesta degli attivisti ucraini. Uno degli ultimi esempi è quanto successo a Viktor Shenderovich, giornalista russo, che sarebbe dovuto intervenire a Londra. Per il suo intervento erano già stati venduti 300 biglietti. Ma questo è stato cancellato all’ultimo momento senza motivazioni, così che egli è stato costretto ad andare con i suoi ascoltatori al parco. In questi ultimi tempi i relatori ucraini spesso rifiutano di partecipare alle conferenze internazionali in cui devono intervenire relatori russi, anche se quelli hanno dichiarato apertamente la propria posizione contro la guerra. I sentimenti di questi ucraini si possono capire, ma io ritengo che quando gli organizzatori europei cancellano per questi motivi gli nterventi di relatori russi questa è discriminazione.
Quando i media alternativi hanno cominciato ad essere altrettanto ideologici come quelli ufficiali, ma con un segno diverso, la mia conclusione è stata la stessa: “Non illuderti, nel mondo non esiste un giornalismo totalmente indipendente, la linea editoriale è sempre determinata dagli uni o dagli altri: rossi, bianchi, verdi, di destra o di sinistra. Ci sono singoli giornalisti indipendenti, ma questo è perlopiù un’eccezione. Allora non dimenticare il pensiero critico e non fidarti ciecamente di nessun media”. Forse è il caso di aggiungere che io non guardo più i canali ufficiali russi già da molto tempo e ascolto solo pochi politologi e analitici di cui mi fido.
Dopo conversazioni con persone che vivono in Polonia e negli Stati Uniti, ho capito anche che il nostro modo di percepire quello che adesso sta succedendo dipende in gran misura dal luogo in cui viviamo. Sebbene possa sembrare triste e strano, tu resti diviso da un muro anche dalle persone che condividono con te gli stessi valori. Ho capito meglio questa cosa grazie a un mio vecchio amico prete che ora abita in Polonia; proprio lui mi ha detto: “Noi ci troviamo ora in luoghi diversi e questo non può non influenzarci” (per fortuna poi ha aggiunto “ma questo non ci impedirà di dialogare”). Per me, però, è stato molto difficile accettare la sua opinione. Secondo lui la soluzione migliore è la vittoria dell’Ucraina sul campo di battaglia e la totale sconfitta della Russia. La stessa cosa l’ho sentita dire dai miei conoscenti emigrati anni fa negli Stati Uniti. Da parte mia ho risposto loro: “Ma voi vi rendete conto che io vivo in Russia e non posso desiderare questo perché ho paura? Qualunque sconfitta in guerra non può esistere senza molte vittime anche tra i civili”.
A una persona che vive in un paese sicuro, è difficile spiegare che mentre lei dice cose di questo tipo, sta versando il sale sulla tua ferita aperta. Allora, un’altra conclusione: “Ricordati più spesso che nessuno può mettersi nei tuoi panni, così come tu stessa non puoi metterti nei panni di quelli che si sono trovati nell’epicentro delle distruzioni, hanno perso tutto e ora sentono l’odio verso il nemico. Non illuderti di capirli veramente”.
Verso l’inverno è diventato chiaro che la situazione non stava migliorando, ma peggiorava sempre di più e che io non ero in grado di cambiarla in niente. Potevo solo raccogliere un po’ di cibo da dare ai volontari e continuare a lavorare, cioè parlare con i russi dispersi per tutto il mondo: Georgia, Thailandia, Serbia, Cipro, Armenia, Israele… Mi è sembrato che io stessa, ogni volta, stessi percorrendo tutto il loro cammino – dai dubbi fino al momento della decisione, dal sentimento di smarrimento e dalla ricerca della casa in un paese estraneo fino al respiro di sollievo.
A dicembre la mia pagina facebook consisteva nei gruppi: “Fuori dalla Russia”, “È tempo di scappare”, ecc. Leggevo e ascoltavo dai miei clienti e conoscenti storie di russi che non riuscivano ad aprire conti in banca in Europa, non potevano mandare soldi ai suoi, ricevere permessi di soggiorno neanche in Turchia, che erano costretti a spezzare un volo in tre tronconi con bambini, anziani e gatti, e provavo tristezza e rabbia contemporaneamente. Capivo che non sarei mai riuscita a fare queste cose senza aiuto per problemi di salute. E mi sorgeva la domanda: “Ma di cosa sono colpevoli tutte queste persone che non vogliono sostenere la politica di Putin, ma che sono rifiutate dall’Europa?”. Anch’io mi sono scontrata con gli stessi problemi, perché non potevo ricevere soldi dai miei clienti che erano usciti dalla Russia.
Ed ecco siamo già nel secondo anno di guerra. Le strade di molte persone si sono divise. Quelli che sono partiti dalla Russia cercano di risolvere i loro problemi nei loro nuovi paesi. Alcuni di loro mantengono i rapporti con i loro amici che sono restati in Russia, mentre altri hanno cominciato ad incolpare tutti quelli che non sono partiti, senza considerare il fatto che non tutti hanno questa possibilità. Facebook e i media alternativi in lingua russa sono pieni di queste continue accuse: “Come vi permettete di frequentare teatri e mostre restando in quel ’territorio del male’? Come vi permettete di continuare ad andare al bar a chiacchierare con gli amici? Continuare a vivere così vuol dire fare un compromesso con il diavolo”. Qualcuno va oltre e aggiunge – come già detto: “C’è un’unica via d’uscita, l’Ucraina deve sconfiggere totalmente la Russia”. Alcuni, come per esempio Ilia Ponomariov, incitano anche ad incendiare gli uffici di leva e distruggere le linee ferroviarie, chiamando questo “azioni partigiane”. Io, personalmente, reputo ciò terrorismo, perché in queste azioni, spesso muoiono persone assolutamente innocenti.
Quando leggo o sento queste parole, vorrei chiedere loro: “Come immaginate tutto questo? Vi rendete conto che se ora la guerra è sostenuta solo da una parte dei russi, in caso di invasione tutti saranno obbligati a difendere la loro terra? E oltre a questo voi non ricordate che in Russia vivono i vostri vecchi compagni di classe, di università, ex colleghi, parenti ecc.”? La società russa si è divisa; di fatto è in atto una guerra civile “fredda”: i genitori non parlano più con i loro figli, gli amici con gli amici, molti della vecchia generazione credono alla propaganda russa e pensano che i loro figli e nipoti debbano difendere la patria. I “patrioti russi” chiamano gli espatriati traditori; alcuni degli espatriati chiamano quelli che sono restati collaborazionisti; quelli che sono rimasti si difendono dalle accuse degli espatriati.
Purtroppo più continua la guerra e più mi imbatto in frasi tipo: “Tanto peggio vivranno i russi, tanto più velocemente cominceranno a ribellarsi al regime”. Effettivamente la vita qua sta peggiorando ogni giorno di più: i prezzi dei dentisti sono cresciuti del 250%, alcuni medicinali necessari di importazione sono scomparsi, per evidenti motivi è stato schermato l’uso del GPS e i taxisti e gli autisti a volte non riescono a trovare gli indirizzi utili, le compagnie straniere chiudono e la gente resta senza lavoro. Ma questo non è ancora tutto. Negli ultimi tempi i droni ucraini continuano a raggiungere diverse città della Russia. Gli abitanti della regione di Belgorod vivono già da tempo in zona di guerra, più di 39.000 di loro sono stati evacuati (o sono partiti) dalla sola città di Shebekino, vicino alla frontiera. È peggiorata la loro vita? Sì, in pieno, stanno perdendo tutto! Stanno cominciando conseguentemente a lottare contro il regime? Sarebbe assurdo il solo presupporre questa ipotesi. Esistono regimi che non possono essere rovesciati dai risultati delle azioni del solo popolo. Se non sbaglio, Russia e Bielorussia sono le nazioni con il più alto numero di forze di sicurezza in rapporto alla popolazione al mondo. Un tale apparato di forze dell’ordine non c’è mai stato in Ucraina e questa è una delle ragioni per cui non si può confrontare l’Ucraina, dove è stato possibile il Maidan, con la Russia. Basti ricordare che nessuno, né i valorosi ceceni, né ucraini e georgiani per quanto amanti della libertà, né i coraggiosi generali, vincitori della seconda guerra mondiale, hanno potuto rovesciare il regime di Stalin. Tutti abbiamo visto cosa è successo poco tempo fa alla pacifica protesta in Bielorussia. La gente è scesa in piazza con regolarità, in grandi quantità e in modo assolutamente pacifico. Il risultato è che questi venivano arrestati, gettati in prigione dove molti di loro venivano torturati. Alla fine la protesta è stata soffocata nel terrore.
Ricordo benissimo le proteste oceaniche a Mosca del 2011 alle quali anch’io ho partecipato. Queste proteste hanno avuto come unico risultato che alcuni dei partecipanti sono finiti in prigione. Ora, dopo l’approvazione di nuove leggi “Sul discredito dell’esercito russo”, quelle proteste non sono più possibili: si può essere condannati fino a sette anni solo per un post su facebook. Non molto tempo fa un sacerdote ortodosso è stato sospeso dal servizio divino per aver pregato, durante la Messa, per la pace e non per la vittoria in guerra.
L’alternativa è la rivoluzione? Ma ogni russo sa bene che alla rivoluzione segue la guerra civile che è peggio della rivoluzione, ed è proprio quello che è successo da noi nel 1917 e di cui stiamo ancora pagando le conseguenze adesso.
Allora, cosa vediamo oggi, luglio 2023? Io mi sento come se intorno a me il cerchio si stia restringendo sempre di più. Cerco di aprire una app. e leggo “Questa applicazione non può essere aperta nel territorio della Federazione Russa”. Voglio ordinare nuovi occhiali e vengo a sapere che non ci sono più le lenti che ho sempre comprato. A tutto questo ci si può anche abituare, ma ci sono cose molto più paurose: scompaiono i macchinari medici e se ne vanno dal paese i migliori dottori in quanto richiamabili al fronte, e questo inevitabilmente diventa una minaccia per la mia e la vita degli altri russi. Da una parte ci minacciano le sanzioni e dall’altra nuove leggi grazie alle quali si può andare in prigione per qualsiasi motivo. E infine è apparsa un’altra minaccia: i droni ucraini che ora cadono anche vicino a Mosca e che il 30 maggio si sono abbattuti su alcuni palazzi moscoviti. Per me quello è stato un giorno terribile: ho sentito che il senso di sicurezza era completamente andato perso. Qualsiasi tentativo di condividere le proprie sensazioni, però, si scontrava con i ferrei argomenti di molti: “Di cosa vi lamentate, la vostra sofferenza è nulla di fronte a quella che vivono gli ucraini”. È questo che infligge continuamente dolore; molti pensano che i russi non abbiano neanche il diritto di parlare dei propri problemi: qualsiasi tentativo di fare questo si scontra con l’affermazione di cui sopra.
Secondo me è un errore grave confrontare le sofferenze di persone diverse. È ovvio che io non possa immaginare cosa sentono le persone che vivono nell’Ucraina orientale, ma le loro sofferenze non annullano quelle delle persone che vivono a Mosca o che sono state costrette a scappare in fretta e furia dalla Russia abbandonando tutto: casa, lavoro e genitori anziani. Oltre a questo c’è un’altra cosa: gli ucraini che sentono ora un dolore molto forte, sentono anche una speranza forte. Molti di loro sperano che il loro paese avrà un futuro e che tutto il mondo occidentale sarà pronto ad aiutarli. E poi tutte le persone con passaporto ucraino che ora vogliono partire per l’Europa hanno la possibilità di ricevere lo status di rifugiato e il permesso di lavoro. I russi che non hanno la possibilità di ricevere questo status e restano in Russia invece si sentono come passeggeri di un enorme Titanic che lentamente sta affondando e che viene spinto verso il basso. Le sanzioni non fermano la guerra, ma peggiorano la vita della gente e la propaganda russa usa questa situazione per continuare a ripetere: “È evidente che l’occidente vuole distruggere la Russia e si deve difenderla” (ovvviamente le sanzioni sono inevitabili, ma sarebbe meglio se fossero più “indirizzate” e pensate). Purtroppo molte persone cominciano a credere a queste parole e per me è un enorme dispiacere che questo succeda, perché ricordo benissimo altri tempi.
Dopo il 1991, quando è crollata in Russia la cortina di ferro, davanti a noi si sono spalancate tutte le porte: abbiamo cominciato ad andare all’estero per la prima volta nella vita; il primo passo è stato l’invito di Giovanni Paolo II che ha chiesto al governo della Russia di permettere ai suoi giovani di partecipare all’incontro con lui a Czestochowa. Da questo incontro è cominciata per noi una nuova epoca: per la prima volta nella vita abbiamo potuto comunicare con italiani, francesi, tedeschi, ecc. (fino agli anni della perestrojka ci era stato proibito di parlare con gli stranieri che venivano nell’Unione Sovietica). Abbiamo partecipato ad una preghiera comune, abbiamo visto per la prima volta le città europee. Abbiamo cominciato a sognare una Russia democratica, libera e abbiamo percepito un sostegno molto forte da tutti gli europei, che condividevano con noi la nostra speranza.
Ma non solo sognavamo la democrazia: nell’agosto del 1991 quando c’è stato il tentativo di colpo di stato, migliaia di persone, tra cui mio padre, sono uscite per difendere la Casa Bianca (la sede del Governo). Ricordo le barricate e i falò che le persone avevano acceso per difendersi dal freddo durante la notte. Centinaia di moscoviti portavano acqua e cibo per i difensori della Casa Bianca. Queste persone non se ne andarono neanche quando arrivarono i carri armati. In quei giorni noi siamo riusciti a vincere e pensavamo che ora la Russia sarebbe diventata finalmente libera.
Sono passati 32 anni. Alcuni giorni fa, durante il suo intervento a Bonn, Dmitri Muratov – giornalista russo, Nobel per la pace – ha detto: “La finestra dell’Europa è chiusa e su di essa sono state poste le grate”. Poi ha aggiunto: “Mi hanno chiesto spesso perché i russi tacciano e perché non si ribellino”. Poi ha dato una risposta: “Ma dove si può parlare? Tutti i meeting sono proibiti. In Russia sono aperti 20.000 procedimenti penali contro i sostenitori della pace. Sono stati chiusi 300 mass-media indipendenti. Navalny, Kara-Mursa, Ilya Yashin e altri si trovano in prigione. Il deputato Aleksey Gorinov è stato condannato a sette anni per aver detto che non era il momento di tenere un concorso di disegni per bambini durante una sanguinosa guerra”. Si può dire che in questi 32 anni i russi siano cambiati e diventati passivi e vigliacchi? No, un popolo non può cambiare radicalmente in 30 anni. Ma nel 1991 ci fu Eltsin che riuscì a prendere su di sé l’autorità assumendo la guida dell’esercito. Ora tutta l’opposizione è stata liquidata: Boris Nemtsov è stato ucciso, alcuni sono in prigione, molti altri sono stati costretti a partire per l’estero perché la maggior parte di loro sono considerati in Russia come agenti stranieri. L’elenco di questi agenti stranieri si allarga ogni settimana e in questo elenco non ci sono solo politici, ma anche giornalisti, sociologi e perfino ecologisti. Si può allora dire che il 60% dei russi sostiene la guerra come dicono alcuni sondaggi? Non penso, perché in questo momento molti si rifiutano di rispondere o danno la risposta che sanno essere giusta. Si può dire che i russi non facciano niente per ribellarsi? No, come dice Ekaterina Shulman – politilogo russo –, molti semplicemente non vogliono andare in prigione per una frase o un post su facebook. Ma moltissimi volontari russi aiutano gli ucraini che sono fuggiti in Russia e ora vogliono restare o andare in Europa. Alcuni dei miei conoscenti raccolgono soldi, cibo e vestiario per loro. Qualche russo ospita profughi ucraini nella propria casa e li aiuta a raccogliere i documenti per partire per l’Europa (proprio oggi ho saputo che ai volontari che raccolgono soldi per i profughi, non solo ucraini, ma anche russi della regione di Belgorod, hanno cominciato a bloccare i conti). Poco tempo fa, nella giornata di azione “Non sei solo” organizzata da un media indipendente, sono stati raccolti 3 milioni di rubli (circa 30.000 euro) per aiutare i prigionieri politici e le loro famiglie. Ad ogni processo politico accorre una grande quantità di persone, anche se poi non li si fa entrare, per sostenere gli arrestati. Più di 800.000 mila russi sono partiti dalla Russia, nonostante tutti i problemi con cui si sono dovuti scontrare, solo per non sostenere la guerra o non parteciparvi.
Possiamo fare qualcosa di più? Come società civile, in Russia, non penso: le possibilità di farlo sono state tagliate. Forse quello che potremmo fare è non dividerci tra di noi e non accusarci l’un l’altro, ma, al contrario, tentare di unirci. Un’altra cosa sarebbe quella di non guardare alle persone “semplici” come se fossero persone stupide, con le quali è inutile parlare perché sotto influsso della propaganda. Dobbiamo imparare a parlare con il nostro popolo e non guardarlo dall’alto in basso. Oltre a questo ognuno di noi può fare la sua scelta quotidiana: aiutare dove si può aiutare e tentare di evitare il compromesso con il male, se questo è possibile. Ma molto di più possiamo fare insieme, se parliamo di tutte le persona di buona volontà che vogliono la pace. Unendo le nostre forze possiamo fare tutto il possibile per avvicinare i negoziati. Possiamo pregare per la pace, possiamo continuamente ricordarci del valore di ogni singola vita umana e collaborare in tutti i campi dove questo è possibile. Ed in questa collaborazione è molto importante coinvolgere i russi e non escluderli. Io penso che fare affidamento solo sull’invio di armi all’Ucraina non sia sufficiente e oltre a questo sia anche pericoloso. Il rischio di un conflitto nucleare e di una catastrofe tecnologica non è scomparso e lasciare sotto minaccia la vita di milioni di persone non mi sembra una buona idea. Prima o poi si dovrà cominciare a negoziare e prima si farà, tanto meglio sarà. Obiezione frequente: “Non ci si può fidare del governo russo”. È veramente così. Ma paradossalmente questo non è un ostacolo per i negoziati. Noi abbiamo già avuto l’esperienza della guerra in Cecenia quando ci è toccato di negoziare anche con i guerriglieri ceceni. L’alternativa sarebbe stata continuare a bombardare Grozny e avere una guerra senza fine. Molti affermano che non si debba fare nessun compromesso con Putin, portando l’esempio di Hitler. Ma Putin non è Hitler: lui non ha le risorse per conquistare altre nazioni e oltre a questo nella società russa ci sono ora sentimenti completamente diversi rispetto a quelli della Germania fine anni’30. Io non sono una politologa e non voglio entrare in un campo non mio, ma vedo i seguenti rischi. Se si continuerà ad armare l’Ucraina sempre più e la Russia sarà sempre più isolata, allora l’Europa potrà affondare in una guerra infinita. Forse, però, era necessario all’inizio rafforzare le posizioni dell’Ucraina affinché Putin non potesse ricattarla, ma ora la Russia sta già cominciando a perdere e si può allora cominciare a pensare ai negoziati.
Io non ho ancora parlato dei russi che partecipano alla guerra e dei motivi che li spingono a farlo. Uno dei più frequenti, per gli abitanti delle regioni più povere, è quello di guadagnare tanti soldi quanti non ne guadagnarebbero altrimenti e di ricevere la possibilità di usare un “ascensore sociale” (per esempio è data loro la possibilità di iscriversi gratuitamente all’università, una volta tornati dalla guerra, e di scappare così dalla disperazione sociale in cui spesso si trovano nei loro paesi). Tanto più ci saranno sanzioni, tanto più la gente vivrà peggio, tanto più aumenterà il numero delle persone per cui la guerra resterà l’unico modo di guadagnare soldi e usare questo “ascensore sociale”. Sicuramente dal punto di vista morale questo suona in un modo terribile, ma la realtà è così. Basta immaginarsi in quale condizione vivono queste famiglie; una grande quantità di russi ancora ad oggi non ha il bagno in casa! Le madri di questi ragazzi sono contente che i propri figli abbiano la possibilità di un futuro piuttosto che diventare alcolizzati o drogati come molti dei loro coetanei. Oltre a questi combattono militari di professione che ora non possono interrompere il proprio contratto e non possono uscire dal paese. La terza categoria sono delinquenti comuni detenuti nelle carceri per i quali partecipare alla guerra è un buon modo di uscire di prigione. La quarta categoria sono le persone che sono state mobilitate; se la guerra proseguirà questi ultimi potranno diventare sempre di più. Molti si chiedono perché loro non rifiutino. Una grande quantità di persone in Russia non conosce i propri diritti: molti credono che se loro rifiutassero la cartolina andrebbero immediatamente in prigione. Oltre a questo molte famiglie ritengono che quando un maschio scappa dalla chiamata alle armi, sia una vergogna. Inoltre non molto tempo fa è stata approvata una legge che vieta alle persone che si sono rifiutate di rispondere alla chiamata di guidare la macchina, operare qualsiasi compravendita di immobili, fare un mutuo, registrare il proprio business ecc. L’ultima categoria, secondo me la meno numerosa, sono le persone partite per motivi ideologi, convinte di lottare contro i “nazisti ucraini”.
Se la guerra continuerà e gli ucraini attaccheranno le città russe, crescerà il numero di persone che parteciperanno per motivi ideali cioè per difendere il proprio territorio. Io sono contro la guerra e penso che la Russia non avrebbe dovuto attaccare l’Ucraina, ma non mi vergogno di dire che, in caso di attacco, vorrei che i soldati russi difendessero le nostre città. Secondo me mandare droni sulle case dei civili di Belgord o Kursk è allo stesso modo inammissibile come mandare i droni sulle case dei civili di Karkiv o Kiev. Se le cose andranno così la guerra rischierà di non finire, come il conflitto tra Israele e Palestina. Io non ho una soluzione pronta, ma tengo davanti agli occhi un’immagine per me importante: Papa Francesco che affida insieme l’Ucraina e la Russia al cuore immacolato di Maria. Cosa significa questo nella nostra vita quotidiana? Probabilmente accettare che la risposta alla nostra domanda non si trova nel posto dove la cerchiamo, e che non possiamo risolvere questo problema solo con gli strumenti che conosciamo bene. Cerchiamo la giustizia, ma possiamo essere salvati solo dalla misericordia.
Come stiamo vivendo ora io e le persone intorno a me dentro le nostre circostanze? Ad essere sincera sento una paura continua. Dopo il 30 maggio, quando sulle case moscovite sono caduti i droni, mi sveglio spesso la notte per leggere le notizie e controllare se nel frattempo non ne sia caduto qualcuno vicino o non sia scoppiato qualche incendio, perché in questi ultimi tempi ciò avviene regolarmente. Ma la paura più forte è quella che si trasmette in Russia da generazione in generazione, quella che ci hanno trasmesso i nostri nonni e genitori. La paura che torni ancora la cortina di ferro: non si lasciano più uscire i russi dalla Russia o le nazione europee smettono di dare visti ai russi, come già fatto da Finlandia, Lettonia, Lituania e altri. Tutti i russi ricordano che, dopo la rivoluzione, quanti non avevano fatto in tempo a partire poi non sono mai più potuti uscire dalla Russia. La maggior parte di quelli che hanno riflettuto a lungo se partire o non partire e hanno rimandato il giorno della partenza sono poi risultati assassinati durante le repressioni staliniane. Questa paura di non fare in tempo ad andarsene vive continuamente dentro di me. Ad essa si aggiunge la memoria che si trasmette dalla parte ebrea della mia famiglia. Tutti gli ebrei ricordano come siano stati uccisi quelli che non avevano fatto in tempo a scappare. Questa paura si è acutizzata di molto il 24 giugno di quest’anno, quando è successa la rivolta di Prigozhin. Quel giorno, mentre io leggevo che i suoi soldati stavano marciando su Mosca, mi chiedevo: “Perché sei così stupida, perché non hai fatto in tempo ad andartene?!”. Oltre a questo per noi, ora, c’è anche un altro rischio, di restare senza youtube e forse anche senza le reti internet internazionali, come già siamo restati senza Netflix e altre applicazioni. Durante il suo intervento a Bonn, Dmitri Muratov ha chiesto chiaramente a tutti i partecipanti di non permettere che in Russia venga chiuso youtube. Youtube è letteralmente la nostra finestra sul mondo. Un terzo della mia vita trascorre su youtube e facebook, ma su facebook noi entriamo già ora con difficoltà e solo grazie al VPN.
Se potessi ricevere lo status di protezione temporanea andrei in Italia per un po’ di tempo almeno per riposare da queste paure continue. Io le reggo a stento anche dal punto di vista fisico: mi sono ammalata già tre volte solo quest’estate. Purtroppo non ho questa possibilità. Su quello che mi sostiene in questa situazione scriverò dopo, ora racconto di come sopravvivono le persone intorno a me.
Prima categoria. Persone che se ne sono andate dalla Russia pur di non avere niente a che fare con il regime di Putin. Tra i miei colleghi, questi sono la maggioranza e io continuo a comunicare con loro solo tramite facebook e zoom (proprio per questo parlo così tanto spesso di facebook).
Seconda categoria. Persone che sono cadute in depressione, sentono la colpa su di sé e la disperazione totale. Spesso loro sentono anche odio verso il regime e impotenza totale. Molti di loro vanno dallo psichiatra e prendono pastiglie antidepressive. I rimanenti soffrono senza chiedere aiuto. Queste persone ritengono di non avere il diritto di vivere una vita normale: non festeggiano più le feste, non vanno più al ristorante o a teatro e spingono sé stessi sempre più in una depressione profonda.
Terza categoria. Persone che cercano di ignorare tutto quello che sta succedendo e tentano di vivere come prima. Queste raramente leggono notizie, non parlano della guerra e si sforzano di evitare tutto ciò che la riguarda. Io non voglio accusarli, perché capisco che molti di loro fanno questo per non perdere l’equilibrio e la possibilità di compiere i propri doveri: lavorare, crescere i figli, curare i genitori anziani, ecc. Ci sono, però, anche quelli che non portano per niente attenzione a quello che succede fino a quando la guerra non li toccherà. Ma dietro di questo spesso si nasconde la paura e il desiderio di fuggirla.
Quarta categoria. Persone che tentano di fare tutto quello che dipende da loro: lavorare, sostenere gli altri, fare i volontari, raccogliere soldi per i profughi, ecc. Anche loro, però, cadono qualche volta in depressione.
Tra di loro ce ne sono alcuni di cui è meglio parlare a parte. Si tratta di quelle persone che si pongono seriamente la domanda: “Cosa vuole il mio destino/Dio da me oggi?”. Attraverso queste circostanze esse approfondiscono la propria vocazione e trovano nuove risposte alla domanda sul senso della loro vita. Giorni fa durante un incontro con Monsignor Santoro, G. P. ha raccontato come lei in questo periodo si ricordi delle parole di Padre Romano Scalfi scritte nel suo testamento: “Amate la Russia nonostante tutto”. Amare quando intorno a te sembra che vinca l’odio è molto difficile, ma proprio questo ora diventa la cosa più importante e più decisiva. E per fortuna tra di noi ci sono persone che mostrano questo cammino in atto.
Quinta categoria. Gli attivisti: avvocati, giornalisti, deputati, pittori, blogger e altri che rischiano di mostrare pubblicamente la loro posizione, sostengono i prigionieri politici, organizzano conferenze, si occupano di progetti sociali, ecc. Molti di loro sono multati, finiscono in prigione o sono costretti a scappare dalla Russia.
Sesta categoria. Persone che pensano che ora sia inevitabile fare la guerra con l’Ucraina perché la NATO, che la sostiene, usa questa situazione per avvicinarsi ai confini della Russia e minacciarla. Questi sono sicuri che la NATO, e soprattutto gli USA, vogliano distruggere la Russia. Nella mia cerchia di conoscenze, però, di questi praticamente non ce ne sono.
Settima categoria (poco presente tra le mie conoscenze). “Uomini piccoli”, persone che si sentono come granelli durante una tempesta di sabbia. Non vogliono che i loro cari vengano uccisi in Ucraina, ma non hanno la minima idea di come contrapporsi a questo. Sono abituati a sopportare e soffrire. I loro padri, nonni e fratelli hanno sempre fatto la guerra: la guerra civile, la seconda guerra mondiale, l’Afghanistan, la Cecenia e ora l’Ucraina. Le loro famiglie hanno sopportato fame, deportazioni, repressioni… Spesso di loro si dice che hanno una psicologia da schiavi. Bisogna, però, conoscere la nostra storia per capire il loro sguardo sul mondo. Basti ricordare che i contadini dei kolchoz (e tutti i contadini dovevano essere membri di un kolkoz) hanno cominciato ad avere il passaporto interno solo nel 1974, cioè solo 49 anni fa! Dal’35 al’74 questi non potevano neanche trasferirsi in un altro villaggio o città senza un permesso scritto del kolchoz e spesso il kolkchz non dava loro questo documento. Praticamente erano persone senza diritti. Molti miei coetanei sono stati obbligati a combattere in Afghanistan, anche se questa guerra non aveva niente a che fare con loro. Molti là sono morti, ma nessuno poteva rifiutare di partecipare a questa guerra perché a 18 anni tutti, tranne gli studenti, venivano arruolati nell’esercito. Se un ragazzo non superava l’esame di ammissione all’università, inevitabilmente finiva nell’esercito. L’unica via di uscita in questi casi era farsi ricoverare in un ospedale psichiatrico, come hanno fatto alcuni miei amici. Molte persone così si sono abituate a pensare che questo è l’ordine delle cose: gli uomini muoiono in guerra, i malati di cancro soffrono senza antidolorifici e i “vecchi” muoiono intorno ai 65/70 anni. Ancora agli inizi degli anni 2000 in Russia la speranza di vita di un maschio era di 59 anni. Quando il papà di un mio amico italiano è morto a 77 anni tutti i suoi conoscenti russi gli hanno fatto le condoglianze dicendogli, però, che il papà era già molto avanti negli anni.
Ovviamente di sono anche i propagandisti, i burocrati sostenitori della guerra e diversi beneficiari della guerra, ma per fortuna io non conosco nessuno di questi. Non so cosa sarà dopo. Qualche volta mi sembra di trovarmi in un incubo che non finirà presto. Una delle cose che mi sostiene è il mio lavoro, cioè la possibilità di sostenere gli altri. Ma per questo ci vogliono appoggi ai quali io stessa possa sostenermi. Un’altra cosa che mi sostiene è la preghiera, la terza i pochi rapporti amicali.
Per aiutare gli altri, però, bisogna essere capaci di aiutare sé stessi e, per questo, ho provato a formulare i punti principali che possono aiutarmi a sopravvivere in queste circostanze:
– lavora finché puoi;
– prega anche quando non vuoi e non riesci;
– ricorda che Lui ti è vicino e non perdere la speranza;
– non dimenticare di occuparti di te stessa e degli altri;
– pensa al tuo futuro e al futuro buono del tuo paese, anche se quest’ultimo hai poche chance di vederlo;
– non permettere all’odio e alla paura di afferrarti, anche se l’odio è indirizzato contro quelli che portano morte e distruzione e la tua paura ha dei fondamenti validi;
– non dimenticarti di chiederti cosa vogliono da te queste circostanze;
– cerca il contatto con le persone, anche se sembra che loro non cerchino il contatto con te e tu li senti molto lontani.
Questo ultimo punto ora è il più difficile: a volte vorrei nascondermi in una piccola tana e dire:
“Va bene, rimango qua da sola!”.
Ma – no!
A ciascuno la sua guerra. La mia guerra si combatte ogni giorno dentro di me: la guerra tra disperazione e speranza, tra paura e coraggio di vivere. Mi piacerebbe dire che la luce sicuramente sconfiggerà le tenebre, ma questa battaglia si rinnova ogni giorno e ogni giorno non so come finirà alla sera. Perdere significa arrendersi alla voce che dice: “Tutti i tuoi tentativi sono inutili, sarebbe meglio che il tuo paese scomparisse insieme a te: tu ti sei trovata nella pagina nera della storia e questa pagina deve essere strappata”. Vincere significa permettere a Dio di toccare il mio cuore: vedere la bellezza dentro lo schifo, e ricordare a me stessa che Lui può sanare ciò che sembra insanabile. Da più di 25 anni, negli incontri di Scuola di Comunità, sento le parole che Dio agisce attraverso le circostanze. Io sono abituata a queste parole, ma ora o queste restano solo parole e io continuo a guardare a ciò che sta succedendo come a qualcosa di assurdo, o riuscirò a guardare alla realtà con la domanda: “Cosa vogliono da me queste circostanze?”.
La mia risposta oggi: “Dobbiamo diventare operatori di pace”. L’espressione “operatore di pace”, in questi ultimi tempi è diventata come una parolaccia. Con questa parola si insultano i russi perché quando questi parlano di pace i sostenitori dell’Ucraina sentono: “Noi non vogliamo la vittoria dell’Ucraina”. In Russia invece parlare di pace è pericoloso perché in questa parola si sente: “Noi non vogliamo la vittoria della Russia”. Risulta così che per i russi è difficile anche parlare di pace. Ma il fatto non sta solo nelle parole. Si deve diventare operatori di pace, cioè fare quello che ha chiesto Papa Francesco quando ha detto: “Aiutatemi nella profezia della pace”. Oggi il mio compito è capire veramente queste parole e questo è il lavoro di ogni giorno. La voce dell’odio è oggi più forte della voce della speranza, la voce del dolore è più forte della voce della tenerezza. Ma se si osserva la realtà con grande attenzione ci si può accorgere di piccoli segni di speranza: un arcobaleno trasparente, un sorriso, un fiore. E se si ammira l’arcobaleno, si risponde con un sorriso al sorriso, ci si occupa del fiorellino e si trovano parole per quanti provano dolore tu cominci a fare proprio questo lavoro. Forse qualcuno può fare molto di più, ma ognuno ha il suo compito. Quello che è importante per me è non far finta che tutto vada bene, essere capace di stare vicino alle persone che piangono e non vergognarmi di piangere con loro senza dimenticare che Dio alla fine del mondo detergerà ogni lacrima. Mi rendo conto, però, che per tutti noi ora è molto difficile percorrere questa strada, perché anche con tutto il nostro desiderio di usare bene la ragione, ci scontriamo con i limiti della nostra psiche e del nostro corpo: dei miei io mi accorgo molto bene. Psiche e corpo a volte non reggono la tensione e si deve imparare ad accettare anche questo fatto per occupersi di sé e degli altri in un modo giusto. Qualsiasi guerra distrugge l’uomo. Quando finirà finalmente questa guerra tutti noi – ucraini e russi – dovremo fare un grande lavoro per superarne le conseguenze che saranno inevitabili. Di questo ci si deve rendere conto sin da ora e da subito aiutare le persone ad aver cura di sé e ad imparare a chiedere aiuto a Dio e agli altri. E già da ora vorrei ringraziare quelli che in questo periodo ci stanno aiutando a ricordare che Dio ci guarda con amore e non ci lascia soli. Per me, personalmente, è molto importante ogni incontro con persone che vengono da noi e ricostruiscono i ponti che altri distruggono. Mi riferisco al nostro caro don Pino, a monsignor Santoro e ai nostri amici che restano qua con noi insieme al nostro vescovo Paolo e ripetono che la nostra presenza qua come cristiani è molto importante, non solo per la Russia, ma per tutta la chiesa e per il mondo.
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