Le giustificazioni date da Putin per fare la guerra non hanno nessun rapporto con la realtà
Abbiamo parlato a lungo con l’autore del suo libro. Sono riflessioni di un uomo che conosce e ama profondamente la Russia nonostante la tragedia che di cui oggi è responsabile. Se riconosco il bisogno che ho di essere perdonato allora comincio a capire che forse posso perdonare gli altri afferma il vice presidente della Fondazione Russia Cristiana che condanna duramente l’invasione russa e accusa di eresia alcune posizioni della Chiesa ortodossa russa.
Pubblichiamo la prima delle due parti dell’intervista.
La prima cosa che mi colpisce è che si tratta di un libro scritto da qualcuno che ama veramente la Russia. Come si sviluppa questo amore in lei?
Nasce dall’insegnamento di Padre Romano Scalfi, che è stato nel 1957 il fondatore di Russia Cristiana e di cui quest’anno corre il centenario della nascita. Nel suo testamento spirituale, scritto nel 2009, quindi in tempi tutto sommato tranquilli nei quali nessuno pensava che potesse scoppiare la tragedia che è scoppiata, lui ci aveva lasciato come eredità spirituale quella di amare la Russia “nonostante tutto” (erano queste le sue esatte parole). Ecco questa è stata ed è oggi una grande sfida, ma viene da una storia in cui avevo imparato distinguere i peccati di una persona (o di una nazione) dalla sua vocazione autentica.
Padre Romano non si era mai nascosto i limiti della Russia. Le faccio l’esempio di un testo che il padre scrisse nel 1990 quindi proprio quando il muro era appena caduto e quando noi in Occidente non solo non avevamo motivi per temere, ma si stava costruendo una Russia democratica, e tutti credevano in futuro migliore, senza più le tensioni della guerra fredda. In questo articolo il padre enumerava quelli che lui definiva dei motivi di preoccupazione per quel tempo e che invece sembrano presi dalla cronaca odierna. Innanzitutto, diceva, c’è un sempre più diffuso anti occidentalismo, poi sottolineava che c’era la rinascita del culto pagano, “dell’umida madre terra” di tanta tradizione, appunto pagana, slava e russa.
Poi, aggiungeva, c’era la ripresa di un certo messianismo slavofilo. E quindi l’idea di una Russia che salva il mondo al di fuori di ogni senso di pentimento per i propri peccati, mentre una delle caratteristiche importanti del fenomeno del dissenso, che aveva portato alla fine del totalitarismo, era stato il senso di pentimento e di responsabilità per i mali che avevano caratterizzato il regime sovietico. E invece adesso questo pentimento non c’era più, e c’era invece l’idea che proprio la Russia aveva il compito di salvare il mondo. E poi ancora, diceva padre Romano, lo cito letteralmente, c’era “l’affermarsi di un nazionalismo russo che suggerisce operazioni militari”. Guardi, questo è impressionante perché il padre usava proprio quest’espressione operazione militare che per il tempo era molto strana e che oggi appare profetica.
Era davvero profetico
È una cosa impressionante! E parlava, sempre letteralmente, di un nazionalismo russo che suggerisce operazioni militari e sogna confini imperiali, estesi (sono ancora le sue parole esatte) a “tutte le nazioni che oggi fanno parte dell’Unione Sovietica”. E poi continuava in questa maniera. La Russia attuale, diceva, dimostra una letterale “grettezza e incapacità di riconoscere agli altri popoli i diritti che si pretendono per sé”, e svela in questo modo il volto imperialistico di questo tipo di nazionalismo russo. E poi ancora notava: “c’è un ritorno ai valori della tradizione spirituale, della religiosità. E però precisava: “questo non mi convince”, perché tradiva una inconsistenza di fondo, perché veniva fuori che lo spirito e l’ideale non hanno valore in sé, ma valgono in quanto sono sostegno alla causa nazionale, nella misura in cui possono rendere grande la Russia. Insomma, voglio dire, il padre quando ci lasciava questo invito ad amare la Russia “nonostante tutto” aveva presente benissimo quelli che lui aveva indicato come dei pericoli terribili. Eppure, ben sapendo questo, nel 1993, appena tre anni dopo, aveva voluto la fondazione di un centro culturale a Mosca, dove l’idea era quella (originaria di Russia Cristiana) di fare incontrare le diverse tradizioni, occidentale e orientale, cattolici e ortodossi. Per lui era importante incontrare i russi e costruire insieme qualche cosa di nuovo, e soprattutto contribuire all’unità della Chiesa.
“Dei campi di concentramento noi vedevamo che l’uomo poteva essere veramente uomo in qualsiasi situazione”
Io sono stato formato attraverso questo amore, per me la Russia è sempre stata questo. Io lo l’ho sempre conosciuta in questa maniera. Insomma passando attraverso tutta la sua storia, sino alla testimonianza dei campi di concentramento noi vedevamo qualche cosa d’altro: che l’uomo può restare uomo in qualsiasi situazione, ed è questa la cosa che poi appunto mi ha fatto amare la Russia. Vedevamo che l’uomo poteva essere veramente uomo in qualsiasi situazione: quel “nonostante tutto” ci diceva che c’erano stati i campi di concentramento, che non dovevamo e non potevamo dimenticare, che erano stati una cosa tragica e che andavano denunciati e condannati come tali, ma anche lì, “nonostante tutto”, l’uomo era riuscito a restare uomo. E questo è il punto che oggi ancora mi fa amare la Russia, nonostante tutto, nonostante la tragedia che di cui oggi la Russia è responsabile.
E sia chiaro, non si trattava e non si tratta di sentimentalismo, di relativismo o di scarsa attenzione al reale perché, mentre ci insegnava questo, padre Romano ce ne mostrava anche la ragione: attraverso quella storia noi potevamo incontrare Cristo, salvatore e redentore dell’uomo. Questo è quello che rende oggi la Russia ancora degna di amore. Il fatto che, nonostante tutti i suoi peccati, in essa, nella sua storia, nella sua cultura, in maniera originale, è presente Cristo e un costante richiamo a Cristo: il centro non era la Russia e la sua grandezza, ma Cristo. Con una precisazione non secondaria: che Cristo non è una dottrina, che Cristo non è una teoria, che Cristo non sono dei precetti, ma la sua persona, una persona che, quando l’incontro, cambia il destino della mia persona. Infatti, l’altra cosa che Padre Romano ci ricordava sempre è che Dio in Cristo si è fatto uomo perché l’uomo potesse diventare Dio. Il punto non era la grandezza della Russia, ma l’incontro con questo Dio fatto uomo, con questo Cristo che mi liberava e mi rendeva uomo in mezzo agli altri uomini.
“Padre Romano mi ha fatto conoscere una risposta al desiderio di liberazione che non implicava la distruzione degli altri”
Come ha conosciuto Padre Romano Scalfi?
Ho incontrato padre Romano alla fine degli anni 60, quando io, come gran parte della mia generazione, sognavo un mondo migliore e, per ottenerlo, ero disposto a fare la rivoluzione. Padre Romano mi ha fatto conoscere una risposta al desiderio di liberazione che non implicava la distruzione degli altri. Certo, noi cercavamo un mondo migliore, ma quel sogno poteva avere esiti tremendi: erano gli anni in cui in Paesi tutto sommato democratici come quelli occidentali nasceva la lotta armata. Ciascuno aveva il suo pezzo di lotta armata e noi avevamo le Brigate Rosse e Prima Linea. Voi avevate l’ETA, la Germania aveva la RAF e il Regno Unito aveva l’IRA. Insomma, ogni paese europeo aveva questo desiderio di liberazione che portava alla violenza. E lì il padre mi ha fatto scoprire che, con il Cristo che mi faceva conoscere e incontrare, c’era un altro modo per liberarsi. E questa è la grande sfida anche per oggi. Oggi la nostra gioventù, ma noi stessi, vecchi arrivati alla fine della vita (e senza più sogni rivoluzionari), possiamo essere presi dal cinismo. Che è la cosa che distrugge la nostra gioventù. La politica fa schifo, tutti sono corrotti, che cosa credi di poter cambiare? Quante volte abbiamo sentito questi lamenti? E alla fine resta solo un nichilismo senza uscita. Oppure possiamo ritrovare questa possibilità di essere liberi adesso nonostante tutto; ecco quello che mi fa amare la Russia: perché mi offre, ripeto nonostante la tragedia che sta producendo con i suoi rinnovati sogni imperiali, una via d’uscita da questo apparente vicolo cieco: o il nulla o la violenza, o un relativismo radicale o una pretesa di possesso e di dominio su tutto.
“Noi dobbiamo distinguere radicalmente tra la vocazione alla grandezza imperiale e la vocazione della Russia alla santità”
È vero che la Russia ha una vocazione universale, infatti il Papa con un incontro con alcuni giovani ha parlato di questo. Ma qual è la differenza fra questa vocazione universale e una missione imperiale?
È una differenza radicale. Ma non è che me la invento io per trovare delle scusanti alla Russia di oggi o al discorso del Papa. O che la inventiamo per chissà quale motivo. All’inizio degli anni venti, ma anche prima, un grande filosofo russo, Nikolaj Berdjaev, marxista poi diventato cristiano, insisteva sul fatto che bisogna distinguere radicalmente tra queste due cose. Lui diceva che bisogna distinguere radicalmente tra la Santa Russia e l’impero russo, tra la vocazione della Russia alla santità e la vocazione alla grandezza imperiale della Grande Russia. La Santa Russia è completamente diversa dalla Grande Russia. Una cosa, come diceva il padre nel testo che citavo prima, è appunto la tentazione imperialista, una cosa completamente diversa, invece, è la vocazione alla santità che ogni persona e quindi ogni nazione deve avere e che ogni giorno può essere realizzata ma ogni giorno può anche essere tradita. Vladimir Soloviev, il grande filosofo russo, alla fine dell’Ottocento ha una poesia anche qui tremendamente profetica. Questa poesia, del 1890, si intitola “Ex Oriente lux”, e ha al suo centro l’idea della luce che viene dall’Oriente, un’idea che poi dopo la rivoluzione è stata ripresa mille volte con il mito dell’alba radiosa del comunismo e le sue infinite versioni: un mito di cui tutti, davvero tutti, abbiamo vissuto. Ebbene, ben prima della rivoluzione, Soloviev concludeva la sua poesia con questi versi: “O Russia! rapita in una sublime preveggenza, tu sei preda di un pensiero superbo. Ma quale Oriente vuoi essere? L’Oriente di Serse o l’Oriente di Cristo?” Questo il punto e questa è la grande sfida.
O facciamo i conti con questa domanda oppure qualsiasi pensiero sulla grandezza della Russia rischia di trasformarsi in un “ritorno a Serse”, in una forma di paganesimo, non solo in un’eresia, ma proprio in un ritorno al paganesimo, perché si torna a un mondo naturalistico dove la libertà dell’uomo non c’è e dove su tutto domina la necessità della natura che poi va esorcizzata con una serie di riti magici. Non è un caso, in questo senso, che tra i teorici di questa nuova grandezza imperiale russa, ci siano personaggi come Aleksandr Dugin che, nelle loro elucubrazioni, danno grande spazio proprio all’idealizzazione dell’antico paganesimo slavo, dove di cristiano non c’è davvero più nulla e resta solo il culto pagano del sangue e della morte. Questo è il punto: Vuoi essere la Russia di Serse o di Cristo? Quando il Papa ha parlato nel suo discorso ai giovani russi, era questo che voleva intendere. Poi lui stesso l’ha precisato, ricordando che le espressioni usate potevano essere state infelici, equivocabili, ma anche alla luce di queste precisazioni noi dobbiamo davvero cercare di capire cosa voleva dire, quando evocava la grandezza di Pietro il Grande e di Caterina II: non era la grandezza dell’impero. Tanto più che se c’è un uomo che si è duramente opposto a qualsiasi forma di imperialismo è proprio il Papa. Allora se parla degli imperi in termini positivi bisogna cercare di capire cosa vuol dire; e questa è certo una sfida anche per noi. Quello che diceva ai giovani è, mi pare: andate a fondo della vostra tradizione cristiana senza falsificarla Proprio nello spirito di Soloviev che ricordavo prima. Compito per i giovani russi, non meno essenziale per il resto del mondo.
C’è un concetto chiave nel libro che è il Russkij mir. Che cosa è?
È un modo di falsificare questa vocazione secondo la tecnica della vecchia ideologia e del vecchio totalitarismo; cioè si prende un’idea, il Russkij mir (il Mondo russo), che adesso provo a definirle, e la si organizza in modo tale che può comprendere tutto quello che l’ideologo di turno desidera. Nel concetto di Russkij mir, nel cosiddetto mondo russo, entrano non solo i cittadini di etnia russa o di cittadinanza russa di cui lo Stato russo si sente responsabile, ma anche i russi che vivono nei paesi dell’estero “vicino o lontano” e di cui lo Stato, sempre russo, si crede responsabile a prescindere da qualsiasi norma del diritto internazionale. E qui hai già l’idea di un Russkij mir che si allarga indefinitamente in termini spaziali, perché quando si parla di estero vicino noi possiamo pensare immediatamente all’Ucraina e alla Bielorussia, ma quando si aggiunge anche il concetto di estero lontano lo spazio si allarga all’infinito e non si capisce più fino a che punto lo Stato russo possa ampliare la propria sfera di influenza e di intervento. Se poi andiamo avanti a esaminare questo concetto, la cosa si complica ancora di più perché cominciamo a scoprire che in questo Russkij mir rientrano anche gli emigrati cioè quelli che sono usciti dalla Russia subito dopo la rivoluzione e persino i loro discendenti. E poi di questo Russkij mir fanno parte anche i cittadini stranieri che parlano russo (io!), lo studiano (io!), lo insegnano (sempre io!) e tutti coloro che si interessano sinceramente della Russia e che si preoccupano del suo futuro (io e, anche lei a questo punto, e i suoi lettori). E su tutto questo mondo Putin avanza dei diritti di tutela, di protezione, di salvaguardia di determinati valori, stabiliti e interpretati, ovviamente, sempre da Putin e secondo la sua concezione del mondo. Si capisce che è un’idea che non ha nessun rapporto con la realtà, anzi, più grave ancora, un’idea con la quale si vuole sostituire la realtà. Quando Putin parla di Russi e Ucraini (e poi Bielorussi, ecc.) come di un popolo solo che deve confluire nel “mondo russo”, dice che alla fine di due popoli ne deve restare uno solo: ed è, ovviamente, una cosa gravissima. Senza pensare che la sfera di influenza potrebbe non avere alcun limite.
Sullo sfondo di quest’idea c’è proprio una tendenza imperialista e totalitaria che finisce inevitabilmente non solo per voler conquistare sempre nuovi territori e nuovi popoli, ma per trasformarli secondo una visione del mondo che non ha alcuna verifica nella realtà: così l’Ucraina, nella visione putiniana del mondo, non ha una storia autonoma, non ha una lingua autonoma, non ha una tradizione religiosa nazionale propria (come se ciò che definisce il cristianesimo fosse l’appartenenza nazionale e non l’appartenenza a Cristo che è comune e identica per ogni uomo).
“Il filetismo è la confusione tra l’appartenenza nazionale e l’appartenenza a Gesù Cristo”
Ma così è tutta la realtà che viene cancellata, perché, invece, l’Ucraina ha una storia propria, che per certi versi inizia anche prima di quella moscovita; perché l’Ucraina ha una sua tradizione letteraria autonoma, con grandi scrittori e con un riconoscimento in tal senso della stessa Accademia delle Scienze Russa, ancora ai tempi degli zar (che poi potevano vietare questa lingua, ma di cui riconoscevano l’esistenza); perché l’Ucraina ha una sua tradizione religiosa, che non si confonde però con i suoi tratti etnici o nazionali. E la realtà viene ancor di più cancellata là dove Putin, in questa sua ricostruzione della storia, parla ad esempio dell’Ucraina come di un paese nazista, con una falsificazione che si farebbe fatica a prendere sul serio se non fosse tragica: definire nazista un paese che, su 450 deputati che compongono il suo parlamento, ne ha uno solo che è riferibile a un partito di estrema destra. E mentre da una parte si nega la realtà dell’Ucraina dall’altra parte si inventa una Europa collettiva (questa è l’espressione che viene usata), piena di difetti, che vorrebbe distruggere la tradizione cristiana (si usano formule offensive come Europa dei gay, degli LGBT). Il problema è che attraverso il Russkij mir si vuole imporre una propria versione della tradizione cristiana. E qui, appunto, come cerco di spiegare nel mio libro, dietro questa demonizzazione di un’Ucraina irreale e questa idealizzazione di una Russia che non esiste, arriviamo proprio ad una forma di eresia: quello che è stato definito il filetismo, una corruzione della dottrina cristiana che la Chiesa ortodossa aveva già condannato nella seconda metà dell’Ottocento (nel sinodo panortodosso di Costantinopoli del 1872) e che consiste nella confusione tra l’appartenenza nazionale e l’appartenenza a Gesù Cristo, così che ciò che è più importante, quello che ti definisce, quello che definisce la mia persona, quello che definisce la mia vocazione, quello che definisce la vocazione del mio paese non è l’appartenenza a Cristo, ma l’appartenenza alla nazione.
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